4.7.22

Report dal Crack! 2022: un’esondazione di arte libera e un’edizione dirompente!

Ecco a tutti, a tutte e al tutto l’autoproduzione giornalistica in forma di cronaca atipica sul festival underground di autoproduzioni grafiche, visive, sonore, performative ed editoriali più travolgente di tutti i pianeti e di tutte le dimensioni parallele e fuori asse spazio-temporale a me note, nonché il più longevo e partecipato d’Italia e (che io sappia) del resto del Pianeta!

Nel post troverete foto fatte male, interviste strampalate (a causa dell’intervistatore, massimo rispetto per gli/le intervistat*) e frammenti di “giornalismo” tipico mixati a toni informali caratteristici delle “zine”, uno dei caratteri ibridi e “publishing fluid” di questa fanza/testata: questo perché il nostro inviato poco speciale e l’intera redazione è precaria e perché si impiegano tutte le nostre energie sul contenuto “scritto”, quello per cui pensiamo di essere almeno mediocri. Andiamo a vedere, leggere e ascoltare cosa ha combinato il nostro svogliato e disordinato Cronista Autogestito/Autoprodotto: buona lettura, ma se non avete voglia di leggere questo articolo per intero non vi biasimo e quindi, almeno, buona sfogliata/scrollata di questo post!



CRACK! 2022 – VUDU

Nei giorni roventi tra il 23 e il 26 Giugno si è tenuta la diciassettesima (o diciottesima) edizione del Crack!, edizione  che definisco dirompente per diversi motivi… Il primo è ovviamente un richiamo al sottotitolo ufficiale del festival che, dopo una prima edizione nel 2003 quando ancora si chiamava solo “Celle aperte”, recita per l’appunto: “fumetti dirompenti”. Il nome deriva da una citazione del fumettista Hugo Pratt: la rappresentazione in lettere del suono di un ramo che si rompe si trasforma in uno sparo nel deserto, un forte suono che rompe il silenzio dell’apatia politica ed è un richiamo a distanza per autori indipendenti (la spiegazione dell’origine del nome insieme a una ricchissima intervista a Valerio Bindi , anima del Forte Prenestino e dell’evento, l’ho trovata sul sito tsquirt).

È stata un’edizione deflagrante anche per la partecipazione “numerica”, per il livello alto di qualità artistica-attivistica e per una rinnovata frenesia “post-pandemica”: l’ultima edizione si era tenuta tre anni fa, e quindi si era accumulata una voglia e una grinta esplosa in un turbinio di esposizioni dall’alto contenuto artistico e politico-autogestionario. I/le più di 400 espositori/trici  hanno potuto fare quello che si è fatto grazie a chi ha organizzato materialmente l’evento: anche loro erano fermi (ma non arrugginiti come hanno dimostrato) dal 2019 (nel 2020 c’è stata una “non-edizione” fantasma).

Ricordiamo che per esporre le proprie opere al festival non si paga niente, non si ricevono soldi né dal settore pubblico né da quello privato, ma si mette a disposizione la propria energia e la mente: questo è fondamentale perché ci fa capire che l’autogestione di un evento artistico di queste dimensioni, così come quella di altri tipi di iniziative e delle nostre stesse vite, è possibile: bisogna solo volerlo davvero, rimboccarsi le maniche e sperimentare nuove forme di vita sociale!

Infine è stata dirompente perché è stata la prima edizione di Crack! a cui partecipo (e quarto/quinto festival di autoproduzioni e produzioni (semi)indipendenti che seguo nella mia vita). Dato l’enorme numero di partecipanti per me, cronista autogestito nonché direttore tuttofare di questa fanza/rivista, è stato materialmente impossibile seguire “tutto”, anche se la cosa più bella è stato “viverlo”. Comunque ho fatto del mio meglio e, se volete, trovate altre informazioni generiche sui festival “underground” nell’articolo dedicato allo UE’ Underground Eccetera (potete leggere solo l’inizio se non avete il tempo/la voglia di leggerlo tutto, queste info si trovano lì!), festival che insieme al Ca.Co. è federato con Crack!.

Prima di andare indietro nel tempo di pochi giorni e rivivere qualche pezzetto di festival volevo fare una breve considerazione sui pro e i contro di ospitare un così grande numero di “artivisti”: il “contro” del grande numero di partecipanti potrebbe essere un certo grado di dispersività e di difficoltà nell’interazione tra auto-produttori e fruitori (che possono essere a loro volta produttori) di contenuti. L’idea di farlo durare quattro giorni compensa comunque quest’aspetto “critico”. Inoltre, i vantaggi di far partecipare quanti più auto-produttori possibili, a mio dire, superano di gran lunga il “contro” appena esposto: in questo modo si riesce a dare spazio a tutt#, e si è quindi più inclusivi, senza fare selezioni che, anche inconsciamente, potrebbero finire per avere un certo livello di arbitrarietà e andrebbero contro i principi di libertà artistica e di massima partecipazione. Infine l’ultimo “contro” è quello che va a “svantaggio” degli organizzatori: chi organizza, chi pulisce, chi cucina ecc. ha fatto veramente un “lavoraccio” per permetterci di “undergroundare”, ma sono sicuro che anche per loro ne è valsa la pena, e quindi GRAZIE 1 MILIONE!!!

Ah, quasi dimenticavo: se volete sapere perché l’edizione si chiama “VUDU”, potreste capirlo andando verso la fine del post!

LA LOCATION: La fortezza dell’autogestione



Il Forte Prenestino (detto anche Forte Prenestina) è un luogo storico in tanti sensi: un forte militare costruito originariamente dieci anni dopo la breccia di Portapia, inizialmente con funzioni difensive e poi con quelle di alloggio, di addestramento dei soldati e di deposito di armi. Durante la Resistenza le formazione partigiane, con il contributo di alcuni “militari-infiltrati” delle Fiamme Gialle (l’allora regia “guardia di finanza”), riuscirono a sottrarre quintali di armi ai nazi-fascisti con il favore del buio (le luci dovevano essere spente per non esporre il forte a possibili attacchi) e delle dimensioni della struttura.

Dei 15 forti che circondano la parte più centrale di Roma è l’unico visitabile <<proprio grazie al fatto che è stato occupato>> (come si spiega in questo articolo di Zero in cui si parla anche dell’occupazione, e colgo l’occasione per segnalarvene un altro di Vice). Dopo decenni di abbandono venne infatti occupato nel 1986 su iniziativa del Cordinamento Anarchico, insieme al comitato di quartiere, usando anche il giornale locale “Centocelle Dal quartiere per il quartiere”: era il primo maggio 1986 e, alla fine della quarta Festa del Non Lavoro del primo maggio, nata tre anni prima da “Vuoto a Perdere” <<che sembrava un mix tra una rivista e una fanzine>> , scadeva l’autorizzazione per il concerto, ma la festa continuava con l’appropriazione popolare di un luogo abbandonato, un pezzo di circa 40000 metri quadri di prezioso e vitale verde isolato dalla giungla asfaltata capitolina, uno dei tanti scarti del capitalismo urbano almeno fin quando qualcuno non lo “ricicla” occupandolo per sperimentare alternative di vita o per avviare nuove speculazioni edilizie, aumentare le cubature e mangiarsi un altro pezzo di natura e di aggregazione sociale… È quindi un “pietrone” miliare anche per la storia dell’autogestione e della “sottocultura” o “controcultura” antagonista, oltre che eterotopico: <<un luogo che una volta passato il ponte e superato il cancello è reale, presente e pulsante, con le sue regole che sono vere qui e non altrove. Un luogo dove il possibile si espande nel potenziale senza allontanarsi dal reale, divenendo concreto e praticabile>> (le ultime citazioni, così come la foto che segue sono tratte dal volume Fortopìa)

















PRESENTAZIONE/TALK DI “Rabbia Proteggimi”

Il libro presentato nell’unica talk che io, Cronista Autogestito svogliato, sono riuscito a seguire è quella di  Rabbia Proteggimi dalla Val di Susa al Kurdistan, storia di una condanna inspiegabile, edito da Lizard Rizzoli, scritto da Maria Edgarda Marcucci detta Eddi  e “scritto” in forma illustrata da Sara Pavan 


Parla della sua militanza nei movimenti studenteschi fino all’esperienza di internazionalista in Rojava nelle fila della YPJ (la sezione femminile del corpo militare di autodifesa nel nord della Siria) passando per le lotte transfemministe e contro la TAV/(TAC) in Val di Susa. 
Nel libro si affrontano temi riguardanti l’Italia ma, inevitabilmente, attraverso la lente dell’esperienza di quel pezzo di Kurdistan libertario: l’addestramento non è stato tanto quello militare… Il punto principale non era imparare <<a usare il kalashnikov>> ma più che altro si trattava di un addestramento mentale, un allenamento atto allo spogliarsi dei paradigmi della società capitalista-occidentale, oltre ad aiutare concretamente la popolazione. Una visione espressa in maniera chiara dal principale teorico del confederalismo democratico, Ocalan, che negli anni della detenzione ha rielaborato il pensiero marxista in chiave libertaria, femminista ed ecologista, a partire dal contributo di altri teorici come Murray Bookchin, e mettendo in luce le criticità del capitalismo e del socialismo di stato, oltre che del concetto stesso di stato-nazione
Le illustrazioni della Pavan servono a far deflagrare il dialogo interiore della narratrice nelle parti più introspettive, conferendogli una forma più compiuta e diretta, difficilmente esprimibile con le sole parole: infatti <<il panorama della mia interiorità è una tavola>> sottolinea Maria Edgarda.

Il punto di arrivo della cronologia della narrazione, nonché fulcro del testo, è la misura della sorveglianza speciale imposta alla Marcucci: le riflessioni sulla sua storia e sul suo attivismo si alternano ai documenti giudiziari scritti sul suo caso, testimoniando l’arretratezza e l’ingiustizia burocratica-giuridica che ha vissuto. Prima di spiegare altro della presentazione e del “libro illustrato”, cerchiamo di inquadrare “burocraticamente” in cosa consiste la misura.

La sorveglianza speciale

La sorveglianza speciale è un tipo di “misura di prevenzione personale”, cioè dei provvedimenti che risalgono a prima dell’unità italiana e che nel 2011 sono stati “sistemati” in maniera organica, ritenute da molti incostituzionali e illiberali: mentre quelle “reali o patrimoniali” colpiscono per l’appunto i beni materiali, quelle “personali” restringono pesantemente le libertà di movimento, di comunicazione e in generale “di vita” di un individuo: è espressione di un tipo di potere << tipico degli Stati autoritari, che pure è sopravvissuto all'epoca dell'assolutismo ed ha varcato (non senza contrasti) i cancelli dell'Italia liberale, sotto forma di potere poliziesco di protezione delle classi borghesi: gli indicatori del pericolo sono la povertà, la condizione di indigenza, l'ozio e il vagabondaggio, che non consentono un sostentamento senza crimine (non è difficile riconoscere, oggi, in quei volti, quelli degli immigrati). Ovviamente rafforzato in epoca fascista, il sistema della prevenzione ante delictum si è man mano trasformato, per giungere ai nostri giorni adattato alle nuove condizioni sociali, forse mutando volto, ma restando nella sostanza sempre identico a sé stesso, quale surrogato del diritto punitivo collocato in una zona grigia, al riparo dall’art. 25 Cost., dove l’artificiosa qualificazione del trattamento afflittivo sottrae alla vista la pena[1]>>. Nel concreto le misure che si adottano vanno dal rientrare a casa entro un certo orario fino al divieto di comunicazione con più di cinque persone: quest’ultimo in particolare è stata una proibizione che Eddi ha sfidato continuando a tenere iniziative e rivendicando il suo diritto di parola.

Si tratta di un vero e proprio dispositivo di isolamento che viene applicato dalle procure (o dalla DIA) per prevenire reati atti a sovvertire l’ordine dello stato, di terrorismo o a sostegno di mafie e organizzazione terroristiche. Formalmente non è una condanna perché non c’è stato un processo che ha accertato una condotta penalmente rilevante, ma nei fatti lo è: si viene quindi “condannati” anche (o peggio soprattutto o soltanto) in base a giudizi discrezionali sul comportamento di qualcuno “sospettato” dei reati succitati. In questa maniera si dovrebbe prevenire (un po’ come in “Minority Report” ma senza un fantascientifico macchinario collegato al cervello di umani preveggenti) il compimento di certi atti di soggetti ritenuti “socialmente pericolosi” e impedirne i contatti con altri criminali, consentendo <<la compressione delle libertà dell'individuo non a fronte di condotte contrarie alla legge, ma in presenza di indicatori (per lo più presunti) di pericolosità sociale del destinatario della misura>> e andando contro principi non “utopistici” o comunque più “ideali”, ma contro gli stessi basilari <<fondamenti dello Stato liberale; è la prevalenza dell'autorità pubblica sulle libertà individuali>> che finisce per sanzionare <<non la condotta criminosa, ma la mera sua apparenza[2]>>. Secondo Maria Edgarda le restrizioni cui è stata sottoposta testimoniano il fallimento dei <<principi costituzionali che dovrebbero garantire quella libertà di pensiero e di dissenso che, in una tipica visione eurocentrica, attribuisce una superiorità del nostro modello di società rispetto ad altri[3]>>.

È interessante notare il caso di un pedofilo seriale che, dopo aver passato anni in carcere per violenze perpetrate, è tornato a mettere in atto condotte criminose e disgustose: in un contesto del genere, e quindi in un caso “limite”, una tale misura forse può essere utile (anche se da persona non studiosa di diritto mi chiedo se altri tipi di provvedimenti più incisivi per prevenire/impedire violenze sessuali possano essere messi in atto o studiati ad hoc, e se tali misure funzionino in altri contesti come quello della criminalità organizzata), mentre in casi come quello di Eddi si configurano, secondo la mia modesta opinione, come degli abusi veri e propri e ingiustificati: sono dei pericolosi precedenti perché servono anche da monito ad altri attivisti… Il messaggio che passa, fa notare la Marcucci durante la presentazione, è: <<anche se non hai commesso un reato posso venire comunque a prenderti>>, posso fermarti se non ti “adegui”! In questa maniera si crea insomma un pericolosissimo precedente, un’arma di contenzione mentale e fisica in più da usare in senso repressivo.

Gli indizi di pericolo sociale e la pseudo-condanna a morte comunitaria

Come si spiega nell’introduzione del libro, Eddi è l’unica donna e l’unica dei cinque “Proposti” (perché tecnicamente e di fatto non erano “Imputati”) di ritorno dal Kurdistan che ha pagato con <<oltre un anno di udienze e altri due vissuti in regime di sorveglianza speciale>>.

Le “accuse” mosse a Marcucci, che invece di accertare dei fatti sembrano più fare un identikit dal sapore lombrosiano, si basano su alcuni episodi e condanne non definitive  (è fondamentale ricordare che non sono definitive, perché bisogna essere garantisti sempre e non solo con i potenti), e cioè: il fatto di essere militante del centro sociale Askatasuna; la vicinanza al movimento No-Tav; la partecipazione ad alcune manifestazioni e proteste; un presunto scontro con un controllore su un treno perché non aveva il biglietto; la contestazione di un gruppo fascista insieme a un collettivo universitario; un altro presunto scontro con un poliziotto perché le impediva di partecipare a un incontro in ambito universitario; infine, non da ultima per importanza anche se poco citata nelle carte ufficiali, c’è la sua esperienza in Siria del nord e quindi l’addestramento all’uso di armi. Paradossalmente viene bollata e trattata come una “foreign fighter”, ossia come gli occidentali estremisti islamici che sono andati a combattere per l’ISIS, gli stessi che lei è andata a contrastare. Eddi ha spiegato che, pur condannando le politiche italiane che trafficano “legalmente” armi e know-how tecnologico-militare con la Turchia, quando nel 2017 andò a combattere contro l’ISIS si ritrovava, in quello specifico frangente, dalla stessa “parte” dello stato Italiano: ciò è avvenuto, ovviamente, per combattere e difendersi da un “male” così enorme ed esplicito come è stato (ed è ancora, seppure in maniera “dormiente”) il sedicente stato islamico e i suoi rimasugli fomentati e supportati dalla dittatura turca.

Ma l’ “accusa” più tragicomica di tutte è probabilmente la “camminata marziale”: durante la presentazione si è spiegato che perfino l’andatura di Eddi è stata inclusa negli “indizi” che “confermano” la sua pericolosità sociale e disegnano l’identikit di un soggetto socialmente pericoloso. La presunzione di innocenza purtroppo, nei fatti, non è “uguale per tutti”: se sei un potente e scaltro imprenditore che paga tangenti (o magari qualcun altro le paga al posto tuo), che trucca i bilanci per arricchirsi ulteriormente,  che organizza festini di dubbio gusto dove magari gira anche “la DROGA!!!” e che va a letto con minorenni, potresti anche distruggere il sistema giudiziario di un paese e cambiare “le regole del gioco” durante “la partita” tramite i tuoi avvocati in parlamento… Alla fine, dopo essere stato considerato per anni “presuntivamente innocente” potresti cavartela con dei lavori socialmente utili… Tutto ciò ovviamente dopo essere stato primo ministro per alcuni lustri! Se invece sei un pericoloso “attivista comunistoide”, prima della fine di uno pseudo-processo alle intezioni, devi perfino rifare l’esame della patente d’accapo: alla faccia del garantismo!

La rabbia come meccanismo di protezione

Uno degli intenti principali di questa pubblicazione è quella di offuscare l’immagine agiografica e stereotipata (anche in positivo) dell’ “eroina” Heval Shilan, nome di battaglia di Eddi, facendo invece affiorare i suoi dubbi come militante e rivoluzionaria e ponendo in secondo piano un’ottica individualista e celebrativa: è una rivendicazione del diritto alla fragilità, è il mettersi in dubbio come attivista, è guardare in faccia le proprie paure e i propri limiti, è il non voler essere identificata come “la voce del Kurdistan” perché l’esperienza libertaria che si vive giorno per giorno in una parte di esso <<parla da sé>>: nonostante la guerra sono tanti i risultati che la sperimentazione autogovernativa raggiunge, risultati ai quali paradossalmente sembra più difficile avvicinarsi nel panorama occidentale “pacifico” in cui viviamo. La sua rabbia non viene repressa ma viene utilizzata come un meccanismo di protezione e come forza propulsiva per continuare le varie battaglie: <<ci vuole fermezza per una vita rivoluzionaria>> e non è detto che scelte drastiche, come recarsi in uno scenario di guerra, siano le uniche percorribili per cominciare a costruire un mondo migliore, per avvicinarci alle utopie, per fare delle scelte collettive aprendoci alle persone che incontriamo.

Alcuni particolari editoriali emersi durante la presentazione “atipica”

In linea con il voler far sbiadire l’alone di “sacralità veterana” dalla figura di Eddi, i toni della presentazione sono stati molto rilassati e ironici (o forse è più corretto dire tragicomici dato l’argomento). Oltre alle due autrici c’era anche il già citato Valerio Bindi, figura storica del Forte e del Crack!. Si è spiegato che le varie presentazioni del libro non sono state una mera ripetizione dei suoi contenuti, ma acquisivano una piega diversa a seconda del contesto in cui veniva presentato. Io stesso ho fatto una “prova” ascoltando sul TuoTube una diversa presentazione del medesimo volume che trovate in questo video.

Un altro aneddoto tragicomico degno di nota è quello di quando Eddi si è recata in una questura a causa dell’obbligo di denunciare i suoi spostamenti: il poliziotto con cui parlava, ascoltando il linguaggio “poliziesco” e “burocratese” con cui lei è divenuta molto familiare per la sua trafila giudiziaria, le ha chiesto: <<lei quindi è una collega?!>>… (LOL amaro). Oltre a questo si è fatto cenno ad altri episodi, che vedevano Maria nei panni di quella che deve spiegare a poliziotti e carabinieri come la misura cui era sottoposta doveva essere applicata: per esempio andavano a controllare la sua presenza in casa in orari diurni, mentre l’obbligo di non spostarsi dalla sua abitazione era limitato dalle 10 di sera alle 7 del mattino; o ancora, in un momento in cui si lamentava con un poliziotto dei paradossi legati alla misura le è stato risposto che avrebbe dovuto dirlo <<a qualcuno dello Stato>>, mentre sulla sua casacca si leggeva per l'appunto “Polizia di Stato”.

Valerio Bindi fa notare che negli anni di piombo c’era un clima repressivo molto più esplicito e brutale, ma forse meno subdolo di quello di oggi: a tal proposito fa un confronto tra la questione della “camminata marziale” e dell’identikit “psicologico-lombrosiano” a sostegno della misura, e il caso di un suo amico (Marco Sanna, attivista che scriveva per il citato Vuoto a perdere) che dopo aver lanciato una palla di neve a un carabiniere in borghese non è uscito vivo dal carcere. Ho ritrovato questo evento brevemente accenato da Valerio nel volume succitato di Fortepressa e nelle cronache: ufficialmente si è trattato di un suicidio, e penso che anche se effettivamente quella persona avesse scelto di porre fine alla sua vita (e quindi ammesso che non sia stato “suicidato”, cosa plausibile in una realtà complessa come quella carceraria e in questo caso specifico, che sembra uno dei tanti “casi Cucchi”), penso sia indubbio che i suoi carcerieri avrebbero dovuto vigilare perché ciò non fosse accaduto, fornendo anche il supporto psicologico di cui i ristretti hanno bisogno anche per limitare fenomeni come l’autolesionismo e il suicidio... 

Tornando al libro e ad alcuni particolari editoriali degni di menzione, è significativa la scelta della copertina, che si lega materialmente ai bisogni immediati e materiali dei detenuti: è morbida perché, se fosse rigida, non potrebbe entrare nelle carceri; nelle prime pagine troviamo il volto di Helin Qerecox (nome di battaglia di Anna Campbell), che come Lorenzo Orsetti ha offerto la sua vita per la causa del Kurdistan libertario contro l’ISIS e la dittatura turca.

Infine il titolo doveva essere, secondo la casa editrice, “Socialmente pericolosa”. Eddi si è imposta contro questa scelta e si è adoperata per diffondere il libro a un prezzo il più accessibile e popolare (15 euro la versione cartacea, 10 quella digitale).

Dopo l’invito finale di Valerio ad acquistare il libro (che non si trovava tra i banchetti delle autoproduzioni del Crack!), la presentazione si conclude con una lettura musicata di alcuni brani (se ne vede uno stralcio nel video che segue), tra cui l’ultima lettera di Lorenzo Orsetti, letture che ci lasciano commossi e che ci acchiappano cuore e mente.




STAND ED ESPOSIZIONI

Le esposizioni “urbanistiche”

Iniziamo da un’opera e due stand in cui si affrontano temi dell’urbanistica e della geografia umana.

La prima si intitola “Gentrificazione a Cabanyal” dell’artista Pau Santiago Roda: nel video viene mostrata e spiegata un’illustrazione larga 3 metri e alta 70 centimetri che fonde storia e fantastico, raccontando la vita di un quartiere di Valencia a partire dall’800 fino ai contemporanei processi del capitalismo urbanistico di speculazione e gentrificazione.



Dalla Spagna sorvoliamo con l’immaginazione e con l’ “azione” sulla capitale italiana tramite una mappa delle okkupazioni capitoline, esposta sul banchetto di Informa Urbis Romae: il progetto cartografico è frutto di un lavoro collettivo, curato da ChiaraDavoli e Leroy S.P.Q.R’DAM. La mappa psicogeografica, nata dall’intenzione di conoscere le occupazioni a scopo abitativo nel 2016 e di riappropriarsi degli spazi urbani, è stata estesa poi ad altre eterotopie autogestionarie. La città, <<rappresentata come un arcipelago di isole>>, è suddivisa in aree contraddistinte da diversi colori: il marrone per i centri di potere e repressione; il verde per le zone popolari; il giallo per i quartieri borghesi. Nove sono invece le tipologie di spazi liberati (o riconquistati).




In un cella incontro i tipi del Collettivo Mensa: sui loro banchetti quattro zine/poster che come titolo hanno diverse borgate del quadrante est capitolino, in cui si trovano pezzi di storia italiana, pezzi di storia personali/narrativi e pezzi di storia “urbanistica”: non ho molti spiccioli in tasca, ma riesco a portarmi a casa quelle dedicate a Centocelle e Torre Spaccata grazie a un piccolo sconto popolare. Sul loro sito si spiega che in realtà non sono <<né un collettivo né una mensa, ma tre giovinotti lucani che dal 2008 producono a Firenze una rivista di letteratura, fumetto e altre cose, chiamata Collettivomensa>>, e mi pare di capire che negli ultimi anni sono stati poco attivi con la loro iniziativa. Stanno dipingendo la cella mentre li immortalo, e avrei voluto fotografare il disegno finito ma ci sono tanti stand da visitare e non ho il tempo di ritornare da loro… Sarà per la prossima!

 




CrAck!ademia: l’importanza storica dell’ “underground”!

Scendendo nei tunnel sotterranei una delle prime celle che visito è quella di Crack!ademia: qui incontro tre ricercatrici che presentano due progetti su fanzine, riviste e fumetti underground con un approccio storico-archivistico e storico-artistico. Il primo, detto Collezione controcultura e curato da Martina Caruso e Carlotta Vacchelli, consiste nella digitalizzazione di più di 1000 pubblicazioni (e circa 30000 scansioni) di arte e politica provenienti dall’archivio della Fondazione Echaurren Salaris insieme alla Bibliotheca Hertziana –Istituto Max Planck.

Martina, storica dell’arte specializzata in fotografia, ci parla del suo progetto che tratta della fascinazione italiana per i nativi americani (irrinunciabile un richiamo al movimento degli “Indiani Metropolitani”), tema connesso a quello dei popoli oppressi, delle culture contadine e del desiderio utopico di un’armonia con la natura e con la dimensione del “magico”.


Carlotta, Dottore di ricerca in Studi Italiani e borsista post-doc presso la Biblioteca Hertziana, studiosa dei fumetti dal punto di vista storico-critico, ci parla dei suoi progetti sui fumetti underground/d’avanguardia in Italia e sulle relazioni con il “mainstream”: tra le diverse pubblicazioni e i diversi autori citati (tra cui il recentemente scomparso MatteoGuarnaccia) uno si concentra su Pablo Echaurren (e sul suo “fondo” digitalizzato) e l’altro su Andrea Pazienza, punto di partenza dei suoi studi in questo campo specifico.



L’altro progetto invece si chiama TRAVMACollective Memory of Punk in Turkey: presentato dalla storica sociale Carlotta De Sanctis, riguarda la catalogazione e la digitalizzazione di fanzine e poster della scena punk in Turchia negli anni ’90 (un progetto che Fanrivista ha conosciuto per la prima volta durante un altro festival di autoproduzioni intitolato Raise Your Zine). Alla fine dell’intervista ci offre il suo punto di vista sul tema della censura e dell’autocensura nel contesto turco.



Il concetto portante di questa esposizione “CRhackACCADEMICA” e dei relativi progetti è l’importanza di rendere oggetto di studio “accademico” questo tipo di pubblicazioni underground: che si ami o meno l’ “uderground” è un fatto che fa parte della nostra storia, dunque merita di essere approfondito e “archiviato”, e non solo “saccheggiato” e poi “trasformato” dall’editoria “mainstream”, che finisce con il renderlo più appetibile ai più svilendone la carica critico-rivoluzionaria, e facendolo comunque entrare nel patrimonio della conoscenza collettiva (anche se filtrato dal mercato capitalista).

 












La randomizzazione e l’arte generativa

In una performance e in due stand trovo un filo conduttore: quello che penso si possa chiamare “randomizzazione artistica” ma anche “arte generativa”.

Tra le performance che mi hanno colpito di più c’è infatti Nonmateria: un mix di coding (programmazione informatica) esoterico, musica e “visuals” di un linguaggio di programmazione chiamato ORCA: in concreto è un’improvvisazione musicale, proiettata anche in forma di video, principalmente incontrollata dall’esecutore e generata dal programma “live”… Sono molti i concetti che mi affascinano di questo progetto sperimentale ma per essere onesti, data la natura poco eSSoterica di questo, potrei averli riportati imprecisamente… Ho incontrato anche l’escutore/programmatore con cui ci spariamo delle impegnative discussioni su società e tecnologia, e mi fa capire che ORCA potrebbe essere insegnato mediamente in 4 ore (se si è completamente a digiuno di programmazione e in un’ora se si hanno almeno delle nozioni basilari). Il video che segue è probabilmente più esplicativo, più intuibile dai più, addirittura leggibile per alcuni umani e forse per altre macchine/androidi!


Fumetti a caso

Nella piazza d’armi, tra una canzone e l’altra, osservo una stampante con un computerino integrato: premendo il bottone rosso (come si vede nel video e nelle foto) vengono generati dei fumetti: un algoritmo mette insieme le vignette caricate dalla mano umana in ordine casuale. Incontro la persona curatrice della mini-esposizione che mi spiega anche la praticità di quell’oggetto: inserendo alcune combinazioni di lettere e numeri vengono stampati altri fogli con scritte e immagini specifiche, tra cui quelle di insetti e scarafaggi “generativi”, creati incrociando 50 parametri che la mente umana ha caricato su un software (questa specifica opera è firmata Bleeptrack). Mi raccomanda infine, se proprio voglio citare qualcuno del progetto, di usare questo link a GitHub (che appare in calce ai fumetti).




Conosco di sfuggita anche Subseri collettivo che si occupa principalmente di serigrafia. Delle loro produzioni mi colpisce una nuova avventura autoprodotta in cui si stanno lanciando: dei libri d’artisti sperimentali incentrati sulla ripetizione casuale di pattern (motivi astratti).






La ciclofficina e l’ufociclismo



Alla ciclofficina, dove si è tenuta l’Artistical Mass (nel nome si percepisce il richiamo alle Critical Mass) re-incontro Croma: ci eravamo conosciuti allo UE’ (nel post si trova la presentazione della sua graphic Novel Jepi Jora recensita da Fanrivista). Lei mi presenta Cobol Pongide, principalmente un musicista, ma anche il primo rappresentante dell’ufociclismo che ho incontrato in questa terrena (o anche cosmica?!) esistenza: sul suo banchetto trovo due riviste autoprodotte di “ufologia radicale”. In più la mia attenzione viene strattonata da una pubblicazione delle/i tipe/i di Ortica Editrice dal titolo Manuale di Guerra Psichica e firmato “Associazione Psicogeografica Romana”, uno strumento “didattico” per <<una guerra di genere nuovo, psichica e memetica>> con l’obiettivo che <<è sempre la pace>>. Non so se definire questo volume come il compimento o l’evoluzione del Manuale del guerriero della luce di Paulo Coelho, di sicuro ho cominciato a leggerlo e mi coinvolge moltissimo!



Radio Onda Rossa 



Da sotto il gazebo della radio militante Onda Rossa si è diffusa buona musica, si sono fatte delle interviste e sono stati raccolti i contributi grafici per l’agenda Scarceranda 


Addentrandomi nei tunnel, tra i primi artiVISti che conosco ci sono quelli del collettivo fantapolitico di Profondissima con un progetto politico-narrativo sui generis, forse ideale, forse populista o forse davvero per il popolo dal popolo…?! La serietà con cui presentano le loro zine, il libro e il neo-governo mi fa pensare che non sia così immaginario: eccoli nella loro prima intervista video “ufficialosa” per Fanrivista!





Sullo stand di Melissa (aka Mel The Sketcher) si presentano e si realizzano degli schizzi, delle trasposizioni su carta delle paure che le vengono proposte. In un certo senso  la si potrebbe definire una sorta di “arte-terapeuta informale” e sicuramente si tocca un tema/battaglia a me particolarmente caro: quello della “salute mentale”… ma sentiamo direttamente la sua spiegazione mentre è incalzata dalle domande di un giornalista rompiscatole!



Nei sotterranei incontro anche le tipe di MalaFemme: è un festival/collettivo itinerante che vuole allargare la cerchia di artiste donne, con l’obiettivo di “fare rete” per nuove collaborazioni in ogni campo dell’arte e delle autoproduzioni immaginabili, dalla musica techno alle performance live passando per la sartoria, la cucina e la giocoleria. Sono “figlie” del Femme Fatale londinese e imparentate/in rete con altri festival/collettivi underground europei, come il Femme Fraktale berlinese 

Come ricordo tra le loro esposizioni mi resta anche una zina, fatta da un’artista (e siglata dal collettivo Aum_aumarket) che a soli 11 anni gestisce già un workshop in cui si realizzano bamboline VUDU. Bambolina che compare anche nella storia della zina/poster: parla di una bambina delle elementari costretta dalla maestra a usare il colore rosa per un lavoretto, mentre i maschietti potevano optare per l’arancione oltre che per l’azzurro. La bambolina serve a esorcizzare ritualmente la negatività trasmessa dalla maestra oltre che a <<imparare a cucire e a canalizzare le emozioni>>: quest’ultimo insegnamento sarebbe stato molto utile nella mia infanzia, ma meglio che tardi mai!








Sul tavolino di D1R7 due zine-poster "free", collegano la storia delle resistenzE con l’antimilitarismo e lo sport militante: il numero “0” di “Flea in the ear” (Pulce nell’orecchio) è dedicato a Johann Wilhelm Trollmann detto Rukeli , pugile tedesco e sinti che ha combattuto il nazismo con i cazzotti e con un acuto sberleffo/propagandistico (a cui si allude nelle immagini della zina), e che ha subito abusi come la sterilizzazione e la finale deportazione in un campo di concentramento; il numero “2” è per Augusto Masetti muratore anarchico che nel 1911 viene chiamato alle armi per combattere nella guerra italo-turca: come atto estremo e ultimo di ribellione spara a un suo superiore, mentre questi fomentava i militari con un discorso sulla patria. Lo fece inneggiando all’ideale libertario e assumendosi la responsabilità della condanna a morte che gli sarebbe spettata. Dopo la perdita di un figlio partigiano e diversi internamenti in strutture manicomiali si salva e, si spiega nella zina, è stato anche un subvertiser (parola che fonde “subverting” e “advertising”) ante litteram:  nel 1946 viene arrestato perché stava taroccando/modificando dei manifesti di “chiamata alle armi” incollandovi altre lettere.






Arrivato al banchetto di Azione AntifascistaRoma Est, vorrei comprarmene metà, ma è l’ultimo giorno e l’auto-budget per il mio libero, consapevole e preziosissimo “auto-sfruttamento” precario non mi consente di farlo… Poco male: queste fotografie fanno anche da promemoria per acquisire nuovi libri, conoscenze e incontrare nuove sigle editoriali








Tra i tanti tioli un racconto corale di 45 racconti lungo un secolo, che fornisce uno spaccato del tessuto sociale di Centocelle, un quartiere che ha resistito contro il nazi-fascismo e che oggi resiste anche alla gentrificazione.



Le illustrazioni di Viraldelay (Ritardovirale) fanno da eco visivo al suo blog, nato durante l’inizio della pandemia: <<una bulimia di dubbi visivi, testuali, artistici e poetici>> densa di riferimenti filosofici, sociologici, letterari e politici più o meno formali e sicuramente stimolanti! Al contempo è anche rivendicazione di una calcolata “lentezza” del processo creativo-produttivo: <<il ritardo, la gestazione infinita, l’errore sono l’essenza coerente di questo progetto. Sii in ritardo, riprenditi il tuo tempo>>.

 



Della bancarella dei Disegnetti_di_pi, oltre ad ammirare alcune delle sue opere (ne ho viste certe mentre venivano realizzate al riparo di un sole cocente e poi esposte di sera, intanto che partivano discorsi sul genere umano e sulla Gestalt, dopo aver osservato la presenza di altre specie nel Forte), mi faccio “prendere” in maniera positiva da un pizzico di “malinconia”, e mi viene spiegato che alcune sono realizzate con un pennello intinto di caffè e vino!



Tra le tavole del tavolo di Incomaa_ noto le illustrazioni di diverse specie animali (uomo incluso) appese a testa in giù, accompagnate da un articolo della Convenzione Onu contro la tortura: trasmette il concetto che la sofferenza inflitta attraversa la vita di tutti i viventi.





Sul banchetto/scatolone improvvisato di Zia Ipa leggo una poesia trascritta visivamente anche in un’immagine da cartolina, e una zina che racconta una storia sulla passione del cucinare e sui ceci, tratta da una vicenda di vita vissuta: i legumi vengono dimenticati sul fuoco, ma per fortuna non scoppia un incendio! Al suo fianco espone Rui, dei suoi lavori mi colpiscono svariate vignette che parlano di militanza.




Sul tavolino di Kami trovo una zina (concessa a un prezzo più basso di quello di produzione e quindi a offerta libera durante il festival, GRAZIE!) che è un breve viaggio in alcuni luoghi romani visti tramite la riproduzione di alcuni graffiti. Sfogliandola ritornano in mente alcuni temi del writing e del lettering, concetti che ho cominciato a conoscere in un altro festival di autoproduzioni, Raise Your Zine 



Il tema del writing ritorna anche in una zina di Matteo Hober del collettivo Wild Psychotic Roma Sound  dal titolo Ostiense. Tra le sue autoproduzioni mi attira anche una storia di amore, rabbia e gelosia (in foto si vede una vignetta ricavata da un pugile che sferra un gancio mentre si protegge sapientemente il viso). C’è poi la pagina di una zina che ci fa discutere del primordiale meccanismo fight or flight (quella in cui si notano le formule chimiche dell’adrenalina e della noradrenalina).





Il lettering (disegnare le lettere) si allaccia alle opere di Imagrafik, autore che si dedica principalmente all'arte della calligrafia.






Sui tavolini ed espositori “di fortuna” dell’Edicola Anonima ritrovo molti titoli della Nautilus, sigla editoriale che ho incrociato la prima volta durante le ricerche per la mia tesi sull’editoria anarchica, e tantissimi opuscoletti: sostanzialmente hanno appena avviato un progetto di distribuzione di produzioni indipendenti che mi sembra promettente.





Sul banchetto congiunto di Hi666ka e Traumrat mi soffermo su un volumetto intitolato Amo i pony: nasce da un amore per i pony-giocattolo che forse sfocia in una sorta di ossessione indotta, o comunque fomentata, dal “mercato” che gira intorno a questi cavalli fantastici.




Restando nell’ambito dei giocattoli, è necessario menzionare i balocchi e le Action Figure di Sbrocco giocattoli. Confesso che il mio preferito è GesHulk, un restyling dell’iniziatore del cristianesimo realizzato grazie a una  <<partnership tra il nostro ufficio marketing, Vaticano e Marvel>>.






Vicino all’entrata incontro Jessica Idran e i suoi collage analogici: l’avevo conosciuta allo UE’ (e in quel post spiego brevemente le mie “disavventure interrogative” tra l’analogico e le sue riproduzioni a stampa).



Faccio poi un salto nella dimensione virtuale romana con l'esposizione vaporwave di Romawave.




Restando nell’universo capitolino incontro i tipi di IBombRome: riproducono fedelmente diversi luoghi di Roma similmente alle case delle bambole, scopro che si chiamano “diorami”.




Avvicinandomi alla cella di Thisisnotalovesong (TINALS in breve) inizialmente penso che si vendano audio e video-cassette vintage, ma non è proprio così: le cassette contengono in realtà delle illustrazioni dedicate alle canzoni e ai film.




Molte originali le opere anticapitaliste, marxiste e antagoniste di DarkPixelFrank, realizzate con la tecnica dell’oDio su tela: per esempio si usa uno stile che sembra una mera riproduzione di Kandisky, ma che in realtà schematizza la posizione filosofica-sociale della “sinistra movimentista” e riproduce alcuni scontri di piazza.





Lo stile di un altro artista più vicino a noi, quello di Bansky, lo rivedo nelle esposizioni di un socio della Critica Universitàdella Strada (di cui non ricordo il nome, sorry!): rimango fulminato dai Bansky "taroccati" fatti da migranti con cui porta avanti dei progetti, che in questo caso non sono "stereotipicamente" sfruttati per produrre o vendere borse e occhiali falsi...


Nella cella del laboratorio di serigrafia Le Wecie Crew il mio sguardo si incrocia con quello di una “manichina” con la scritta “poliamore”.



Di sfuggita conosco Alessandro Iastella: mi trattengo qualche minuto con un videogioco dedicato alla vita delle piante e osservo incuriosito la sua Cacchiera, una scacchiera a tema molto particolare…






Cami.On la incontro quando ancora le porte del Forte non sono aperte per l’esposizione, e mi dà una grande dritta che mi salva dalle temperature estreme, dicendomi: <<nel laboratorio di serigrafia ci sono i divanetti, le prese per ricaricare il telefonino e tanto fresco>>… La ringrazio, e poi di sera posso osservare le sue produzioni...



Sua vicina di banco è Labile: con lei non ho interagito molto, ma comunque posso apprezzare le sue autoproduzioni, 


così come quelle del collettivo C.rude,

 di un laboratorio serigrafico di Bogotà 



e di Grafica X

 


È Domenica, il “fest-underground” volge al termine. L’atmosfera ricorda un po’ quella di un mercato mentre si smontano le bancarelle, e all’improvviso con un tocco di realismo magico sento urlare: “tutto a un euro! tutto a un euro!”. I miei occhi cadono sulla figura di una mantide umanizzata, con sangue che gronda e un’espressione che mi sembra scioccata: <<ha appena mangiato il marito>> mi viene spiegato, mentre la mia mente partiva con associazioni mentali totalmente in un’altra direzione, tra l’anti-specismo e uno stile di kung-fu che prende il nome dall’insetta (NDAvagamenteNERD: stile di kung-fu usato anche da Toph Beifong in Avatar, l’airbender (no, non è il film con gli alieni che rappresentano i popoli nativi d’America colonizzati, e quando è uscito era una delle prime volte in cui si usavano gli occhialini 3d al cinema))... 

Prendo il portafoglio, ho solo una 5 euri cartacea di emergenza per il viaggio di ritorno e 0,30 centesimi spicci. Rose Romano Psychedelic Art me la dona comunque per i 30 centesimi rimettendoci: è un minimo sindacabile il mio, e le sono infinitamente grato... Poi torno a casa e noto che un suo biglietto da visita raffigurante un volto (che è anche la foto del suo profilo instagram), che avevo conservato dal UE’ Fest dell’anno scorso, ed è attaccato sul mio armadio...



E poi c'era anche questa cella molto figa, ma non ricordo a chi appartiene...



PRESENTAZIONI, STAND ED ESPOSIZIONI CON CUI/CHE AVREI VOLUTO INTERAGIRE/VEDERE/FOTOGRAFARE MA… NON HO FATTO IN TEMPO…

Essendo un inviato per nulla speciale, oltre a raccontare male le robe che ho visto, me ne sono perso molte altre che avrei voluto vedere… Cerco almeno di menzionarne alcune provando a “recuperare”…

La guerra dei segni 



È stato presentato un libro di Marco Teatro, ricercatore di arti underground nonché ideatore e curatore dell’Happening Internazionale Underground, festival milanese antesignano del Crack!. Il volume tratta delle vicende storiche-artistiche di chi ha animato l’Underground dell’arte figurativa e della nona arte (il fumetto). In uno stralcio di libro reperibileonline si spiega che la parola “underground” <<evocava le condizioni degli schiavi neri dell’Ottocento quando si rifugiavano in tunnel e scantinati per raccontarsi delle storie, ballare e suonare>>, e in questo contesto è usata dagli artisti che ricercano un cambiamento radicale, che sono <<contrari ai valori consumistici e che si oppongono alla monopolizzazione della cultura per fini economici>> e che quindi tramite i “segni” sono in “guerra” <<contro gli agguati del conformismo e della società dello spettacolo>>.

Il poster e manifesto dell’edizione VUDU

Passando nei pressi del gazebo di Radio Onda Rossa, sento venire delle parole che trattano temi legati alla colonizzazione e allo sfruttamento. Dopo capisco che si tratta dell’autrice della locandina di questo Crack!: alla presentazione live sono arrivato tardi, ma per fortuna c’è la registrazione sul sito della radio.


Il manifesto di quest’anno è  un autoritratto di Claudia Marìa, in arte Zhixto. Le tematiche del festival sono organizzate in trilogie (in pratica c’è un tema fondamentale ogni tre edizioni), e quest’anno siamo nella “trilogia” della decolonizzazione: la colonizzazione non avviene solo attraverso la conquista “materialista” di territori, il soggiogamento dei corpi fisici e lo sfruttamento delle risorse naturali e della forza lavoro, ma soprattutto attraverso la dimensione mentale. VUDU è appunto una forma di resistenza sciamanica, è una maniera per terrorizzare il colonialista che cerca di svilirla, ridicolizzandola e riducendola a folcloristica superstizione. L’immagine metaforica del viso di Zhixto è perturbante, esprime la rabbia per le ingiustizie contro le donne, contro i migranti, ma anche la tristezza che si trasforma in forza, e ci ricorda che la lotta contro il capitalismo è anche battaglia contro il patriarcato e il razzismo, è un’intersezione di conflitti.

Molto efficace una sua osservazione sul colonialismo: <<per molte persone può sembrare qualcosa di altri tempi, perché non si rendono conto che in realtà è qualcosa che è ancora presente, che ha vita tra di noi>>. <<Anche nel mio paese>>, spiega l’artiVIsta peruviana che da qualche anno vive in Italia, <<la concezione dell’uomo bianco è superiore>> (del meccanismo di interiorizzazione coloniale e di introiezione dell’umiliazione se ne parla anche in un’altra presentazione di un articolo intitolato “Il gioco dei morti”, recensito nel post sul festival UE’).

Si sofferma poi sull’agire rivoluzionario in senso lato, partendo dalle piccole cose, dal micro-contesto in cui ci si trova, che può essere la propria famiglia così come il campo artistico in cui si lavora: <<magari non posso cambiare il mondo ma posso cambiare il “mio”, e così si va!>>. 

Parla poi dei compromessi che potrebbero essere accettati nel campo artistico, finendo per produrre opere superficiali: penso che il discorso del compromesso può estendersi al “mercato globale” in generale. Invece un’occasione come quella del Crack! permette di esprimersi con la massima libertà, <<la cosa più importante dell’arte>>!

Un compagno, detto Claurlo, conoscendo il mio interesse per la cosiddetta “neuro-atipicità” mi ha segnalato l’esposizione di un’associazione chiamata Ultrablu: l’ho cercata nei tunnel, ma mi sono perso… Poco male: adesso ho comunque i loro contatti e li seguo sui social. Ho scoperto, mentre scrivo questo post, anche dell’esistenza di questo progetto/blog/associazione che si chiama Matricola1312 sulla detenzione  , altro tema/battaglia a me particolarmente caro.

Pochi istanti prima di lasciare il forte, un ragazzo di nome Giovanni, nel laboratorio serigrafico del forte (che si chiama Churma Lab), mi fa notare un’illustrazione collettiva realizzata appositamente per l’evento: è il Gioco dell’oca Loca, avviato inizialmente da Jean Guichon 




Non sono riuscito a fotografare nemmeno lo stand/scatolone del mio vicino di tenda Massimo Boccardini: con lui si è parlato del più e del meno, delle origini storiche del Crack! e ci siamo fatti molte risate!

 

L’ultimo giorno mi reco all’Infoshop del festival. Forse, quando ho detto che ero un giornalista precario e indipendente, mi sono spiegato male e ho dato l’impressione di essere qualcosa di simile un inviato di quei programmi tipo “Riga la Notizia” e “Gli Sciacalli” (lol). Comunque la persona con cui ho parlato mi ha detto di capire che portavo avanti una mia “battaglia”, ma mi spiegava che voleva prima parlare con le altre persone della comunità del forte prima di autorizzarmi a fare la foto al banchetto. In un primo momento mi era stato acconsentito di fotografarlo, indicandomi di non ritrarre i volti. Ho risposto che di solito (come negli altri due post sui festival di autoproduzioni scritti prima di questo) non lo faccio mai perché il mio intento principale è quello di documentare quello che c’è sui banchetti, a meno che qualcuno non ci tenga a venire ritratto esplicitamente nella foto e me lo chiede. Fatto sta che mentre provo a spiegare cos’è Fanrivista e che avevo già intervistato un’organizzatrice del Crack! noto molta diffidenza: gli dico <<guarda che se vai sul post trovi le interviste, le foto ecc…>>. La risposta è <<non vado su Internet>>, e quindi propongo di spiegarglielo a voce all’instante e offline: niente da fare, anche se spiego che avevo già parlato e conosciuto allo UE’ e lì al Crack! due organizzatori dell’evento… Vengo invitato perentoriamente ad <<andare ora da loro e parlarci di nuovo!>>. Cosa che faccio, e mi viene risposto da un’organizzatrice: <<forse non sei stato capito…>>.

Comunque, aperta parentesi, mi scuso per la qualità dei video e delle foto: purtroppo questo non è il mio “background”, quello su cui mi focalizzo è la documentazione “storica” e “cronistica” dell’evento, quindi i contenuti multimediali servono principalmente da supporto a questo tipo di lavoro.

Non voglio fare polemiche (ma anzi ringrazio ancora una volta tutta la comunità del Forte) però vorrei aprire un’altra piccola parentesi, esponendo brevemente una riflessione su alcuni aspetti pratici dell’autogestione: le decisioni prese collettivamente sono sacre però, se bisogna fare una sorta di assemblea pure per “autorizzare” qualcuno a fare una foto di copertine di libri, forse è un po’ eccessivo dal punto di vista “organizzativo”/burocratico.

La prima persona con cui ho parlato, prima di “cacciarmi”, mi aveva detto che un intento dell’Infoshop era “fare rete”: spero ci saranno altre occasioni per confrontarsi con la comunità del Forte e del Crack! se non hanno nulla in contrario... Comunque molti titoli esposti sulla bancarella dell'Infoshop erano dell’Agenzia X e della Meltemi. Non ho potuto fare la foto che funge anche da “promemoria” per future letture, ma sono rimasti “impressi” nella mia mente due titoli: Killer High di Peter Andreas, dove si espone la relazione tra le sostanze psicoattive e le guerre; l’altro invece è sulla storia degli stupefacenti, Lo Spettro della Droga di Pablito el Drito.

 

La musica, elemento artistico molto presente in questo “under-fest”, è stata SUPER! TOP! Tante sonorità underground dalla Techno all’HipHop passando per la House e la Dub: per esigenze “editoriali” (e di sopravvivenza intellettuale/fisica) non riesco a menzionarli adeguatamente (ho sentito verso la fine di questa intervista a Valerio che molti progetti sono innovativi anche dal punto di vista organizzativo), ma almeno voglio ringraziare tutt/ gli/le artist/ : MOLTERRIME GRAZIE!

 


IL CONTRIBUTO/LAVORO “MATERIALISTA”: Grazie a chi ha organizzato, pulito, cucinato (mitico il chiosco vegano e la pizzeria itinerante, SLURP!!) e svolto le parti “manuali” di lavoro (PARENTESI SUI MASSIMI SISTEMI ma qual è davvero il confine tra lavoro manuale e “intellettuale”/artistico in senso lato?!)




Il banchetto di FuckWar non sono riuscito a visitarlo, ma li ho incrociati mentre usavano un carrello autoprodotto ricavato da bancali.



IL CAMPEGGIO DELLA SCIMMIA URBANA 

Per il Crack! sono ritornato al Forte e a Roma dopo molti anni. Lì ho compiuto il mio percorso universitario e ho cominciato a maturare come persona/attivista/cronista/lavoratore, dopo aver lasciato un’anonima e spopolata cittadina meridionale per vivere per la prima volta “da solo”, allocato dal prezzo degli affitti nel quadrante est della “prima periferia” capitolina.

Dando una mano al banchetto de La Voce degli Invisibili, fumetto nato nel carcere di Poggioreale napoletano (se ne parla più nello specifico in un’intervista al compa’ Claurlo che trovate sempre nel post sullo UE’, insieme a tanti/e altre/i che ho incrociato anche al Crack!) ho colto l’occasione per campeggiare come #scimmiaurbana nell’ecosistema del forte.

Tra le tante suggestioni a contatto con la natura, ve ne propongo una: di notte diversi esseri, principalmente volatili e insetti, intonano un’armonia musicale, naturale prolungamento dei vari generi elettronici suonati prima: tra tutte/i regna il ritmo portante della “cicala techno”!

 








CONCLUSIONISSIMA

Grazie per essere arrivat# fin qui, spero di non averti tediato troppo e che questo post sia stato in qualche maniera utile!

Volete che il vostro banchetto/esposizione sia aggiunta come “ricordo” in questo post-ricordo (oppure sono state dette delle imprecisioni su quanto narrato, avete da fare delle precisazioni o richieste; volete essere rimossi da questa pagina perché questo progetto vi fa schifo o non lo condividete)?! Per favore, scrivete nei commenti, via social, via mail, mandate delle foto e/o dei testi ecc, e la nostra "one man" redazione si attiverà! 

Volete proporre altri testi, immagini o video sul Crack! o in generale sulle autoproduzioni?! Fatelo per favore: creare relazioni, fare rete sono obiettivi ambiziosi/basilari di questa fanza fluid, insieme al riportare informazioni in maniera indipendente, anche se a volte “di parte” manifesta (e potenzialmente indefinita)…

Anche per me termina quest'edizione del Crack!, e con un po' di nostalgia (e tanta voglia di organizzare/partecipare ad altri eventi in luoghi eterotopici) dico:

grazie ancora 1 milione al tutto, a tutte e a tutti!!!

PEACE!

Cronista Autoprodotto

2 commenti:

  1. Bellissimo articolo!
    Grazie anche per averci citato, esserci riusciti a conoscere al festival è stato una bella occasione per poter avere uno scambio intellettuale ed editoriale.
    Peace!

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