14.9.25

‘GAZA ERA UNA PRIGIONE A CIELO APERTO...’

ADESSO NON C’È NEMMENO PIÙ IL CIELO!’

‘LA CAUSA PALESTINESE OGGI È DIVENTATA UNA CAUSA PER L’UMANITÀ’ 

LA TESTIMONIANZA DI UN ATTIVISTA DI GAZA CHE È DOVUTO DIVENTARE CITTADINO ITALIANO PER RIVEDERE LA SUA TERRA, MA HA POTUTO FARLO SOLO COME “TURISTA”


L'attivista di Gaza mentre siede in un parco a Napoli durante l'intervista. Indossa una kefiah.


Un paio di settimane fa, a una delle tante manifestazioni che si tengono in tutto il mondo in favore della “Global Sumud Flotilla”, ho incontrato Hameid Alfarra. Lui è un attivista di Gaza, fa parte della “Comunità Araba Palestinese di Salerno” e del “Global Movement to Gaza Campania”. Da giovane ha dovuto lasciare la sua terra, insieme a suo fratello, per aiutarlo a guarire donandogli il fegato. Ci è potuto tornare solo dopo molti anni e ostacoli, ma solo come turista, quando ha ottenuto la cittadinanza italiana, e poco prima che scoppiasse la guerra genocida. La sua testimonianza mi ha aiutato a capire meglio come funzionano i raggiri legali che a Gaza, da decenni, restringono il movimento di persone e di beni essenziali, perfino dell’acqua. Ma le sue parole hanno toccato anche il mio cuore e stimolato una serie di riflessioni che trovate in questo editoriale atipico. 

I link al video dell’intervista completa li trovate alla fine dell’articolo.



TANTI GIOVANI CONTINUANO A MORIRE, MA QUELLI CHE CRESCONO E INVECCHIANO NON DIMENTICANO

<<Dicevano sempre che Gaza era una prigione a cielo aperto, adesso non c’è nemmeno più il cielo ma droni, aerei, bombe e missili>>: sono queste le parole che più mi hanno colpito di Hameid, quando lo abbiamo intervistato il 31 Agosto a Napoli, in occasione di una manifestazione per supportare la “Global Sumud Flotilla”. L’ultima volta che ha visto Gaza è stata qualche settimana prima che quella prigione venisse distrutta, insieme alle vite di tanti prigionieri innocenti, colpevoli solo di esservi nati e di aver costruito la proprio vita lì, dopo esservi stati intrappolati. Ci ha anche spiegato nel dettaglio come sia sempre stato virtualmente impossibile uscire da quella prigione, da quel “campo di concentramento e di sterminio”, come lo definisce Stephen Kapos, sopravvissuto all’Olocausto. E se hai solo un passaporto palestinese, anche se riesci a uscirne non ci ritorni più. Perché quello è il passaporto di uno stato rubato, che formalmente esiste solo sulla carta, ma concretamente resiste nella resilienza dei palestinesi. Di tutti quei palestinesi che vorrebbero semplicemente vivere nel posto dove sono nati, o da cui provengono i loro genitori, ma che non hanno nemmeno la possibilità di visitarlo liberamente. Nel mentre, altri vivono comodamente nelle case a loro rubate, di cui conservano ancora le chiavi, e se ne prendono pure beffa. Uno stato promesso ad altri da chi non lo possedeva, “regalato” per far pagare ai palestinesi le colpe dei veri antisemiti, dell’imperialismo occidentale, e senza dimenticare il complice benestare dell’URSS. Uno stato che non esiste perché un'altra entità statale è stata autoproclamata, fondata sulla “Nakba”, sullo sfollamento forzato e prolungato, sugli stupri, sui massacri, sul raggiro legislativo, sulle menzogne propagandistiche, sulle letture distorte degli ideali socialisti e dei testi sacri, sulla supremazia etnica e militare, sulle spirali di odio che ha generato e continuerà a generare.

E in uno di quei pezzetti di Palestina, quello che si affaccia sul “Mare Nostro”, nonostante tutto ci sono comunque dei ricordi belli, ottenebrati da un orrore paragonabile solo a quello degli olocausti (plurale usato con cognizione di causa).

“I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”, dice il proverbio della bieca occupazione sionista, in riferimento alla potenziale accettazione da parte dei palestinesi dei “fatti sul campo”, imposti con la bruta forza militare. Invece muoiono pure tantissimi infanti e giovani, ma quelli che sopravvivono non dimenticano. E in tantissimi, fuori dalla Palestina, cominciano a notare che da circa un secolo qualcosa non va per il verso giusto da quelle parti... Non sparisce nemmeno la speranza anche se, insieme a quei ricordi belli, si affievolisce sempre più. Parimenti, si assottiglia la stessa possibilità di sopravvivenza fisica della nostra specie, perché la sua dignità, nel suo complesso, oramai già è stata sacrificata in nome della divinità del profitto! 

Nonostante tutto, ognunə, nel suo piccolo o nel suo grande, nella sua dimensione individuale o collettiva, non solo può, ma deve fare qualcosa!



UNA LENTE DI INGRANDIMENTO INSANGUINATA

Quello che succede in tutta la Palestina è come una lente d’ingrandimento, macchiata di sangue, che rende palesi le gigantesche storture del nostro sistema sociale, culturale ed economico.

“Zoommando” nelle immagini dei corpi mutilati e smagriti si può vedere la sorveglianza digitale che serve a rosicchiare sempre più libertà, piuttosto che per garantire la nostra sicurezza.

In quei resti smembrati di esseri umani, nelle cui vene scorreva sangue uguale al nostro, si vedono le uccisioni algoritmiche e automatizzate basate su decisioni delle cosiddette “intelligenze artificiali” e di altre diavolerie belliche. Strumenti testati sui palestinesi per decenni come se fossero delle cavie. Strumenti che poi sono pubblicizzati in losche fiere di armamenti, oppure in più riservate stanze di palazzi del potere, che dovrebbero rappresentare la “cosa pubblica”, con l’intermediazione di figuri equivoci, lobbisti e affaristi con le mani grondanti di sangue. Sono stati testati sul campo, nel genocidio di Gaza: è un marchio di garanzia!

Negli occhi esausti di bimbi, di donne e di uomini vediamo la demolizione ambientale culminata nell’ecocidio, paesaggi lunari che ricordano quelli della Seconda Guerra Mondiale, con la differenza che la distruzione era causata da eserciti che si scontravano “ad armi pari”, incluse quelle aeree, quelle che di solito fanno la differenza nella competizione tecnologica sui campi di battaglia.

Sui “feed” dei nostri “antisocial network” -gli stessi che hanno contribuito, quantomeno indirettamente, ad amplificare propaganda, discorsi d’odio e fake-news atte a completare la “soluzione finale dei palestinesi”- vediamo la brutale soppressione “giornalicida” della libertà di stampa, coperta da una cortina fumogena fatta di calunnie banali e ridicole.

Su quei piccoli schermi vediamo scorrere i pogrom dei coloni terroristi in Cisgiordania, facilitati dalla disarmante furia genocida a Gaza, ammesso che agli algoritmi e a chi li programma faccia comodo che alcuni li vedano.

Nei crateri polverosi scavati dalle bombe a Gaz, vediamo la fame usata non solo come arma di guerra, ma come trappola sadica.

Nelle trascrizioni delle udienze dei tribunali internazionali, si possono leggere frammenti di testi sacri sfruttati per incitare un popolo a massacrare, nemmeno fossimo ai tempi del medio-evo o del Deuteronomio...

Questa è una guerra che si fa fatica a chiamare “guerra”, combattuta con armi iper-tecnologiche, ma seguendo regole medioevali! Non quelle stabilite dopo che si era detto “mai più”, non quelle sistematicamente violate in altri conflitti in cui, perlomeno, si cercava di salvare qualche apparenza per continuare a fare affari e non indignare troppo l’opinione pubblica. Nel nuovo e mesto presente politico-culturale, la regola è una sola: chi ha potere e soldi fa quello che vuole, e chi si ribella nella migliore delle ipotesi viene calunniato, nella peggiore ucciso, oppure, se non va né troppo bene né troppo male, arrestato.



NON CI SONO PIÙ PAROLE, MA DOBBIAMO SFORZARCI DI TROVARLE

Se pure volessimo essere completamente egoisti e “occidentalicentrici”, se pure volessimo essere completamente menefreghisti, dovremmo comunque fare qualcosa per la Palestina perché, di questo passo, se ogni potente fa quello che gli pare, la guerra entrerà presto anche dentro le nostre case, da quelle più umili a quelle di chi è più privilegiato: <<la causa palestinese, purtroppo o per fortuna, non è solo la causa del popolo palestinese. Ora è diventata una causa per l’umanità. Come non si può voler difendere la propria umanità? Oggi a Gaza, e domani?! Io lo dico sempre: questa è una sorta di prova. Quelli che hanno il potere ci hanno messo alla prova...>>. Questa è stata la risposta di Hameid alla nostra domanda finale, quando gli abbiamo chiesto di rivolgere un appello a chi ancora resta indifferente, oppure si sente impotente di fronte all’entità del disastro che degli esseri umani causano ai propri simili.

È surreale ripetere queste cose da quasi due anni, perché ormai <<non ci sono più parole: ci dobbiamo muovere, e dobbiamo usare la nostra anima e il nostro corpo per difendere l’umanità>>, dice Hameid. Abbiamo bisogno di fatti: le sanzioni politiche ed economiche sono il minimo, insieme al boicottaggio e disinvestimento di entità commerciali e statali che hanno permesso il genocidio, oltre alle sanzioni penali per chi lo ha avallato o compiuto direttamente. Ma, forse, le parole ci sono... Il problema è che non vengono ascoltate. E allora dobbiamo continuare a ripeterle, dobbiamo trovarne di nuove, dobbiamo continuare a lottare, dobbiamo ragionare, insieme, su come costruire un nuovo mondo, una maniera diversa di concepire come organizziamo le nostre vite.

Prima di lasciarvi ad ascoltare direttamente le parole di Hameid (i link all’intervista li trovate più sotto), lo ringrazio nuovamente per aver condiviso la sua storia, per avercela raccontata con gentilezza, sarcasmo, fermezza, e rappresentando quello che ancora resta della nostra dignità sociale, nonostante tutto quello che lui e i suoi cari vivono sulla propria pelle. Lo ha fatto con quella dignità che molti gli vorrebbero negare, così come qualcuno ha l’ardire di negare la stessa esistenza storica e fisica dei palestinesi. A lui, a tutti i popoli oppressi, e a quello che oggi è più oppresso di tutti, esprimo la mia massima vicinanza e voglio ricordare una cosa importantissima: anche se tanta parte dell’umanità è complice o indifferente, c’è un’altra parte della specie più feroce e inquinante di questo pianeta che non si volta dell’altra parte. L’umanità è morta in Palestina: diamogli degna sepoltura e facciamola rinascere!


Paolo Maria Addabbo



Se non riuscite a visualizzare l’intervista ad Hameid nel riquadro qui sotto, la potete trovare su YouTube a questo link.




La trovate anche su PeerTube, l’alternativa sul “Fediverso” alla piattaforma di video mainstream di un’azienda che accetta di mettere annunci sponsorizzati da un’entità statale formalmente accusata di commettere “il crimine dei crimini”.



Possiamo cominciare a fare qualcosa di concreto contro il genocidio partendo da quello che mettiamo nel carrello della spesa: scaricate applicazioni come “No Thanks” e “Boycat” (le abbiamo testate entrambe e la prima sembra funzionare meglio), seguite le campagne del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) e non acquistate prodotti di aziende che fanno affari con uno stato terrorista che applica l'apartheid e pratica il genocidio.



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