LE ESTRADIZIONI RICHIESTE E QUELLE NON CONCESSE DALLA TURCHIA
ERDOGAN CHIEDE LA CONSEGNA DI DISSIDENTI (BOLLATI COME “TERRORISTI”) ORMAI DA UN ANNO, MA FORSE PUNTA SOLO AD AVERE CAMPO LIBERO CONTRO I CURDI E PIÙ ARMI
Dopo la ri-elezione del Sultano Erdogan (virtualmente al potere fino al 2028), profondamente viziata da arresti di dissidenti, brogli “fisici” e “mediatici”, la Svezia e il segretario Jens Stoltenberg continuano a prodigarsi per la ratifica dell’entrata nell’alleanza atlantica da parte del parlamento ungherese e di quello turco (gli unici mancanti all’appello).
La Finlandia invece è già entrata a far parte della
NATO dal 5 Aprile 2023, divenendo il 31esimo stato dell’alleanza
militare che negli ultimi 30 anni ha avviato una serie di guerre illegali
(dato che, come sostengono molti, le regole stabilite dell’ONU vengono puntualmente violate, in un tombale e
globale silenzio massmediatico) e che servirebbero ad “esportare la
democrazia”...
Si pone così fine alla storica neutralità dei due paesi
che sono anche due delle mete principali della diaspora curda (i/le
curde/i sarbbero almeno circa 80 mila in Svezia e 15 mila in Finalndia): la
NATO è una di quelle istituzioni che considera il PKK (il Partito dei
Lavoratori del Kurdistan il cui leader recluso, Ocalan, ha compiuto un
salto ideologico dal nazionalismo e dal marxismo-leninismo al modello
confederalista-democratico libertario e che ultimamente ha dichiarato un
cessate il fuoco unilaterale) un’organizzazione terroristica, nonostante molti
ne chiedano la cancellazione dalle apposite liste, e che a partire dal memorandum
siglato la scorsa estate a Madrid anche i due paesi scandinavi considerano tale.
La Svezia in questi ultimi giorni, in base a quanto
sottoscritto nel memorandum e con lo scopo di soddisfare le richieste turche, ha
anche approvato una nuova legge-antiterrorismo che prevede
esplicitamente la proibizione del supporto a organizzazioni terroristiche,
mentre molti mettono in guardia del pericolo che queste nuove norme potrebbero
rappresentare per diversi diritti umani, in primis per quello alla libertà
di espressione.
La scorsa estate, quando Erdogan pose come condizione la consegna di dissidenti (prevalentemente tra i curdi di sinistra e tra i “seguaci” del movimento islamico di Fetullah Gulen, l’ “Imam” ex amico del Sultano) abbiamo cominciato a seguire la vicenda, domandandoci “come sarebbe andata a finire”? I due paesi sarebbero entrati nella NATO? I dissidenti sarebbero stati consegnati nelle grinfie di uno “stato-canaglia”-nel senso di “canaglia palese” perché nel mondo occidentale siamo delle “canaglie più subdole”- che ha anche il secondo esercito più numeroso dell’alleanza militare atlantica?
Per questo abbiamo pensato di costruire un “format”, intitolato “Come Va A Finire”, in cui sostanzialmente seguiamo l’“evoluzione” di una specifica vicenda, in questo caso quella delle estradizioni di dissidenti politici (in gran parte curdi ma non solo) verso la Turchia e dell’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO.
Nelle righe che seguono trovate una sintesi dettagliata di vari eventi relativi alla vicenda accaduti negli ultimi mesi, insieme ai probabili obiettivi politici e militari di Turchia e Ungheria che probabilmente si nascondono dietro il “temporeggiamento” delle pseudodemocrazie governate da Orban ed Erdogan.
Il senso e l’obiettivo di questo di articolo riflette il tipo di approccio sperimentale alle notizie che portiamo avanti tra le righe di questa ZINA/RIVISTA: più che andare dietro le notizie “breaking” e veloci da consumare voracemente, preferiamo puntare all’approfondimento di un argomento, raccogliendo quante più fonti possibile e cercando di “fotografare” un “momento” preciso della contemporaneità, e quindi realizzando dei contenuti che saranno “a lunga scadenza”, e cioè utili da leggere (e dunque criticare) anche molto tempo dopo l’immediatezza della pubblicazione.
L’ESTRADIZIONE CHE LA SVEZIA CHIEDE ALLA TURCHIA (E ALTRI CASI GIUDIZIARI AFFINI): LE PARTI SI INVERTONO
Prima di entrare nel merito delle estradizioni richieste dalla Turchia ai due paesi nord-europei, partiamo con un’inversione delle parti: la Svezia e l’Interpol hanno chiesto alla Turchia la consegna dello svedese di origine curda-irachena Rawa Majid, detto la “volpe curda”, vertice di una gang svedese e accusato di diversi reati legati al narcotraffico. Secondo il ministro degli esteri, Tobias Millstrom, e un diplomatico svedese, Oscar Stenstrom, il trafficante sarebbe legato al PKK (il partito comunista curdo represso dalla Turchia, insieme ad altri partiti a maggioranza curda più moderati, di cui Erdogan chiede l’estradizione) che invece smentisce categoricamente ogni legame.
La Turchia ha negato l’estradizione in quanto la “volpe” nel 2020 ha acquistato il cosiddetto “Passaporto Dorato”, e cioè è diventato formalmente un cittadino turco grazie a un investimento di quasi mezzo milione di dollari. In base alla leggi di Ankara una persona che è diventata da poco cittadina turca non può essere estradata. Come spiega un articolo di Mitchell Prothero di Vice, pubblicato ad Aprile e intitolato “I gangsters hanno una nuova possibilità di sfuggire alla cattura”, anche un trafficante olandese ha acquistato la cittadinanza turca usufruendo quindi dell’impunità.
È curiosamente tragico notare come un paese guidato da un autocrate che sfrutta i flussi migratori e le inadeguate e inumane politiche sulle migrazioni europee, garantisce invece l’impunità a chi può comprarsela mentre al contempo reprime, incarcera e tortura dissidenti politici.
Intanto Cipro, storicamente “vicina” al Kurdistan, un mese fa ha avviato l’estradizione in Germania di Kenan Ayaz, dove è accusato di aver supportato il PKK. Dopo aver speso dodici anni nelle galere turche aveva riparato nella parte greca dell’isola venendo riconosciuto come rifugiato: secondo chi lo difende aveva continuato l’attività politica dall’esilio, pubblicamente e in maniera legale, e nelle proteste in suo favore ci sono stati almeno tre arresti, incluso suo fratello.
A Marzo del 2023 le YPJ, sezione femminile delle Unità di protezione popolare del Rojava, ritenevano insufficiente la condanna a 3 mesi, da parte di una corte svedese, a una donna che si era unita all’ISIS nel 2014.
Nello stesso periodo l’Italia negava l’estradizione di Baris Boyun verso la Turchia, considerato un boss della mafia locale che si sarebbe macchiato di svariati crimini, incluso l’omicidio, ma che a sua detta è perseguitato in quanto curdo: era stato catturato dalla polizia a Rimini nel 2022, dove sarebbe arrivato dalla Svizzera mentre pendeva su di lui un mandato di cattura internazionale emesso dalla Turchia, e aveva con se una pistola, facendo scattare l’arresto in flagranza per detenzione di armi.
L’estradizione è stata però negata anche per le argomentazioni depositate dal suo difensore alla Corte bolognese: in Turchia i parametri sullo spazio minimo individuale nelle prigioni non vengono rispettati, e questo vale anche per altri esseri umani meno “fortunati” da un punto di vista formale/legale, e i diritti di quegli esseri umani andrebbero rispettati a prescindere, anche se fossero davvero “terroristi” o esponenti della criminalità organizzata...
LE MINACCE DI PUTIN E LE POSSIBILI RAGIONI DI TURCHIA E UNGHERIA
Lo scorso 29 Giugno, un giorno dopo la firma del memorandum in cui i due paesi scandinavi si impegnavano a cooperare con la Turchia contro il “terrorismo”, l’autocrate Putin annunciava che avrebbe risposto in maniera <<speculare>> a un ipotetico dispiegamento di forze e strutture militari NATO creando <<le medesime minacce a quei territori in cui si creano minacce per noi>>, specificando comunque che l’adesione dei due paesi non era paragonabile a quella dell’Ucraina.
In realtà delle incursioni aeree “provocatorie”, in territorio svedese, si erano già registrate nel 2016 (due anni dopo lo scoppio del conflitto in Donbass) ma, nonostante la preoccupazione i due paesi scandinavi continuavano a professare la decennale politica di neutralità tra il blocco occidentale e quello sovietico.
Mentre i due paesi siglavano un’intesa insieme a Danimarca e Norvegia per una difesa aerea comune, e a pochi giorni dall’entrata ufficiale di Helsinki nel patto atlantico, le parole dell’ambasciatore russo Tatarintsev sono suonate inquietanti almeno quanto quelle del suo presidente, annunciando misure di <<ritorsioni tecniche, militari e di altro tipo>> (come l’attacco hacker contro il sito del parlamento finlandese avvenuto il 4 Aprile) contro i due paesi, considerabili come <<bersagli legittimi>>.
Spostiamoci ora in Turchia: il “sultano” Erdogan con il memorandum firmato a Madrid insieme ai due paesi scandinavi poneva come condizione d’ingresso l’estradizione di decine di persone che bollava come “terroristi”, tra le diverse decine di migliaia che negli ultimi decenni si sono trasferiti e hanno trovato rifugio in Finlandia e Svezia.
Le stime sull’esatto numero di richieste diffuse più o meno ufficialmente, che oscillavano tra le 70 e 160, includevano anche la parlamentare Svedese curda-iraniana, Amineh Kakabaveh, e un poeta deceduto da anni, oltre a diversi giornalisti e militanti (sulla questione delle estradizioni ci ritorniamo fra poche righe). La richiesta è sembrata da subito pretestuosa, data la forte tradizione liberale e garantista dei due paesi, e dato che le estradizioni concesse verso la Turchia negli ultimi anni si contano sulle dita di due mani, secondo alcune fonti stampa.
Per questo un analista svedese, Paul Levin, aveva ipotizzato che quello che la Turchia voleva veramente non era la semplice consegna di dissidenti, interrogandosi anche sul perché Erdogan sembrava giocare la carta della Svezia, e non tanto quella della Finlandia (che ci risulta non aver estradato nessuno) che condivide gran parte dei suoi confini con la Russia, e quindi di maggior valore strategico per la NATO (è ipotizzabile che lo abbia fatto per il maggior numero di rifugiati curdi, e quindi dissidenti, che risiedono nel Regno):
la prima ipotesi è quella meno “complottista”: il premier-dittatore voleva effettivamente riuscire a far estradare quanti più “terroristi” possibile, principalmente per ottenere un vantaggio elettorale e “di immagine”, oltre a infierire un duro colpo alla diaspora/resistenza curda e agli altri suoi oppositori “interni”. Non è da escludere inoltre che questa ipotesi, così come le altre, siano “complementari” fra loro;
la seconda ipotesi è probabilmente quella più “complottista”, e riguarderebbe un accordo “sottobanco” con Putin nel tentativo di impedire effettivamente l’entrata dei due paesi nel patto atlantico, intento che sarebbe fallito almeno a metà: in questo caso però la Turchia, che cerca di ritagliarsi uno spazio come “mediatrice” nel conflitto, sarebbe maggiormente esposta alle pressione degli altri membri della NATO.
A proposito di rapporti con la NATO e quindi con gli USA, bisogna ricordare che la Turchia aveva annunciato una vasta operazione via terra per “spazzare via” i curdi delle YPG/YPJ alleate con gli USA nella lotta contro l’ISIS, e componenti maggioritarie delle Forze Democratiche Siriane.
Un’offensiva di larga scala via terra non è mai veramente partita dopo l’operazione in Rojava denominata “Spada ad artiglio”, avviata pretestuosamente dopo un attentato a Istanbul, e dopo che si era ipotizzato un possibile ritiro delle truppe turche dai confini siriani. Infatti, mentre il paese con il secondo esercito più numeroso della NATO è accusato di fomentare gli estremisti islamici contro le forze a maggioranza curda, a loro volta alleate con gli Stati Uniti contro i militanti del Califfato, si sono registrati alcuni segnali di riavvicinamento con la Siria tramite la mediazione della Russia;
la terza possibilità è che Erdogan vuole usare l’entrata di nuovi membri nella NATO come “leva” per rimuovere o ridurre altri “embarghi informali” sulle armi, acquisendo nuovi armamenti, e in particolare ottenendo la possibilità di comprare il nuovo modello di F-16 americani, (il “piano B” avrebbe previsto l’acquisto di altri velivoli da combattimento dalla Russia e siccome la Turchia aveva già comprato dei sistema di difesa arei russi gli era stato negato di comprare gli F-35, più avanzanti, che invece andrebbero alla Grecia) alla modica cifra di circa 20 miliardi di dollari: alcune settimane fa un rappresentante del governo turco ha dichiarato in proposito che dopo il potenziale sblocco dell’acquisto degli aerei da guerra la Svezia è più vicina al traguardo.
Pochi giorni fa infatti Biden ha offerto alla Turchia la fornitura di aerei in cambio della cessazione del veto nei confronti della Svezia, ma a Gennaio il governo di Ankara sembrava declinare questa possibilità, osteggiata anche dal Congresso USA.
Oltre alla fornitura di 40 caccia modello “F-16 Block 70” in ballo ci sono anche le forniture per 80 “kit di aggiornamento” di altri caccia richiesti due anni fa (con una spesa più “ridotta”, intorno ai 260 milioni di dollari), e intanto la Turchia ha avviato autonomamente un programma di modernizzazione di altri F-16 denominato “Ozgur”, che coinvolgerebbe in totale circa 200 velivoli da guerra, stando a quanto riporta il sito Aviation Report.
Inoltre, rimanendo nel campo dell’industria degli armamenti, ripetiamo che la Turchia ha chiesto ai due paesi di revocare l’embargo sulla fornitura di armi, iniziato con l’invasione dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria nel 2018.
E, sempre a proposito di alleati della NATO, bisogna ricordate che la Grecia si oppone fortemente alla fornitura di armamenti alla Turchia per le dispute nel mar Egeo.
A queste ragioni vanno aggiunte quelle dell’Ungheria che, specularmente alla Turchia, ha osteggiato o ritardato l’ingresso dei due paesi nel patto atlantico.
Il paese guidato da Viktor Orbán, il politicamente losco figuro che viene visto come un modello dalla presidenta Meloni, secondo una risoluzione del parlamento europeo (osteggiata dai partiti della destra radicale) non è più una democrazia, ma un’autocrazia elettorale, e si trova (come anche altri paesi europei) in uno stato di “sudditanza energetica” e di dipendenza economica dal gas russo: quello della dipendenza energetica è un primo possibile motivo per cui gli il governo di estrema destra ungherese farebbe il gioco di Putin, al quale si somma il “meccanismo di condizionalità” europeo.
Quest’ultimo, noto ufficialmente come “Regolamento sulla condizionalità legata al rispetto dello Stato di diritto” consiste nella sospensione di pagamenti e sovvenzioni vecchi e nuovi (come quelli del “recovery plan”) se ci sono delle gravi violazioni dello stato di diritto, come quelle che compromettono l’indipendenza del potere giudiziario o che aumentano smisuratamente il rischio di corruzione, ossia quelle riscontrate dal parlamento europeo per l’Ungheria.
Il “verdetto” finale sulle sanzioni proposte dalla Commissione spetta al Consiglio europeo, e qui la procedura potrebbe fermarsi dato che Polonia e Ungheria (entrambe sottoposte al procedimento che potrebbe durare fino a 9 mesi) annunciano di porre il loro diritto di veto, “difendendosi” a vicenda. Intanto in queste ore alcuni eurodeputati hanno richiesto al Consiglio europeo che l’Ungheria non assuma la presidenza del Consiglio dell’UE (aka Consiglio dei ministri europeo) tra Luglio e Dicembre 2024.
Alcuni ritengono quindi che l’ipotesi secondo cui Orban starebbe ritardando l’ingresso per sostenere Erdogan sia meno probabile rispetto a quella di favorire Putin, oppure ancora a quella di usare “in campo europeo” l’entrata della Svezia per la “partita” del meccanismo di condizionalità.
In più bisogna considerare che i due paesi nordici, negli scorsi anni, avevano criticato la pseudo-democrazia di Orban, il quale non nascondeva la sua ostilità, ma qualcosa è cambiato: prima Finlandia e Svezia erano guidate da premier socialdemocratici, adesso invece da governi di destra...
Ma c’è di più, almeno da un punto di vista delle dichiarazioni su ciò che avviene sul piano diplomatico ufficiale: Laszlo Kover (presidente dell’Assemblea nazionale ungherese, ministro dei servizi di intelligence civili e membro di Fidesz, lo stesso partito di Orban) ha dichiarato di aver ricevuto diverse richieste da parte di cittadini dei due paesi scandinavi per fermare l’adesione. Il motivo consiste nella mancanza di <<legittimità democratica>> della decisione dei governi di Stoccolma e Helsinki, dato che non si è tenuto un referendum, al contrario di quanto avvenne in Ungheria.
In più a Marzo Zoltan Kovacs, portavoce del governo, dichiarò che il ritardo della ratifica svedese era dovuto a ostilità politiche non sopite.
DALLA PRIMA ESTRADIZIONE CONCESSA AL VERTICE DI VILNIUS, PASSANDO PER L’ATTENTATO DI ISTANBUL E IL SISMA
Ad Agosto veniva diffusa la notizia di una prima estradizione e nel giro di poche ore veniva rivelata anche l’identità della persona: si trattava di un cittadino turco-curdo, Okan Kale, ricercato dalla Turchia per una frode a danno di alcune banche e che aveva ottenuto un permesso di soggiorno in Svezia dopo un matrimonio (i media di regime turchi hanno enfatizzato che la persona con cui si era sposata fosse di vent’anni più anziana). Secondo l’accusa aveva falsificato delle carte di credito, secondo lui invece era ricercato perché renitente alla leva in quanto oppositore di coscienza, perché convertito al cristianesimo e perché curdo. Presumiamo che quella è stata la prima estradizione verso la Turchia (quelle precedenti alla richiesta negli ultimi anni si conterebbero sulle dita di una mano) anche se però si trattava di un cittadino turco che non era coinvolto in vicende politiche e che non aveva legami con la resistenza curda. Forse, proprio per questo, il suo caso ha avuto meno attenzione...
Cosa che non è successa infatti con Zinar Bozkurt per cui è partita una campagna mediatica, relativamente modesta, in sua difesa: anche lui non sarebbe stato presente in quella specie di “lista di proscrizione” diffusa -parzialmente- dai giornali di regime e ripresa dalla stampa “occidentale”.
Secondo l’intelligence svedese era sospettato di avere contatti con il PKK sulla base di alcune foto sui social, in cui mostrava simpatia per il partito turco del Partito Democratico dei Popoli, l’HDP (partito di sinistra che ingloba forze curde, che raccoglie l’eredità politica di diversi partiti repressi e formalmente chiusi negli scorsi anni, che ha mantenuto lo status di terzo partito del paese “appoggiandosi” però a un altro partito, quello dei “verdi”, mentre alle presidenziali aveva tatticamente scelto di sostenere il kemalista Kemal Kilicdaroglu, dato che oltre a sistematiche incarcerazioni -inclusa quella del leader Selahattin Demirtas che nel 2018 si candidò e fece la campagna elettorale dal carcere- e repressioni rischia a sua volta di essere bandito) e per la lotta contro l’ISIS: stando a quanto riportano le cronache, dopo un periodo di detenzione in un centro per migranti sembrerebbe che sia tornato alla “normale” vita di un richiedente asilo, che rischiava di essere perseguitato nelle prigioni turche anche per il suo orientamento sessuale oltre che per le proprie opinioni politiche.
Nei primi giorni di Dicembre l’“estorsione geopolitica” a danno dei dissidenti ha dato qualche frutto, forse complice del fatto che al potere in Svezia intanto era salita la destra: Mahmut Tat, accusato di essere un sostenitore del PKK e in precarie condizioni di salute, viene estradato. Si è difeso dichiarando di aver semplicemente partecipato a delle proteste schierandosi <<dalla parte degli oppressi e della lotta democratica: se questo è terrorismo allora sì, sono un terrorista!>>.
Nel suo stesso caso era coinvolto anche un giornalista che fu arrestato durante un viaggio a Barcellona dalla Svezia, Hamza Yalcin: probabilmente anche la “debolezza” mediatica di Tat ha giocato a suo sfavore.
Sicuramente la “forza” mediatica di un altro giornalista, schierato però con i gulenisti e quindi accusato da Ankara di essere uno dei “golpisti” del 2016, è maggiore: Bulent Kenes si trovava nella succitata lista, ma la corte svedese responsabile per le estradizioni l’ha negata per diversi impedimenti.
Farebbe parte dell’organizzazione definita dall’autocrate come “FETO”, acronimo dell’ “Organizzazione del Terrore Gulenista”: si tratta di un movimento islamico-nazionalista “governato” da un ex-amico del “Sultano” Erdogan, l’“Imam” Fethullah Gulen, ritenuto dal primo l’organizzatore del fallito golpe del 2016 (mentre altri ritengono che il golpe Erdogan se lo sia fatto addirittura da solo. Altri ancora credono che “il Maestro” Gulen abbia contrastato le trattative di pace, svolte a partire dal 2012, tra Erdogan e il PKK per motivi che grossolanamente potrebbero essere sintetizzati dal detto “non si tratta con i terroristi!”), un evento che probabilmente ha anche segnato uno spartiacque nella recente storia della repressione a danno dei curdi.
Anche il giornalista riteneva che Erdogan mirava semplicemente ad ottenere un tornaconto elettorale e a favorire Putin. Ha anche affermato, in un’intervista a “Il Domani” che <<Erdogan non è diverso da Putin>> e che l’UE <<dovrebbe smettere di cercare di accordarsi con un regime che ha sostenuto gruppi radicali islamisti in medio oriente e nord Africa. Capisco la “real politik”, ma credo che alcuni leader europei siano un po’ naif nel continuare ad avere relazioni con Erdogan>> (perfino Draghi lo deifinì <<un dittatore di cui però abbiamo bisogno>>).
Inoltre una settimana fa, alla reiterata richiesta turca di consegnare circa 120 “terroristi”, un funzionario svedese ha dichiarato al The Wall Street Journal che non avevano la più pallida idea di chi fossero e dove si trovassero quelle persone, non avendo ricevuto alcuna lista ufficiale.
Ci si è chiesto poi, negli ultimi mesi, perché la Turchia insistesse tanto, sapendo che le decisioni sulle estradizioni dipendevano da decisioni nei tribunali, e quindi dal potere giudiziario (come successo quando la Corte suprema svedese ha negato l’estradizione del giornalista che sarebbe vicino alla confraternita gulenista): questo genere di richieste potenzialmente pretestuose e reiterate avvalorano l’ipotesi che Erdogan punti semplicimente a ottenere nuove armi e ad avere campo libero nella repressione dei curdi internamente ed esternamente ai confini della Sublime porta, e con dei governi di destra al potere queste ipotesi sembrano diventare realtà.
Lo scorso autunno al governo della Svezia è arrivato Ulf Kristersson del Partito Moderato, con il primo governo della storia del paese appoggiato da un partito di estrema destra. Nonostante questo secondo un sondaggio di Gennaio l’80% degli svedesi, la cui nazione ospiterebbe un numero maggiore di “terroristi” (inclusi quelli della rete di islamista gulenista), erano contrari a concedere le estradizioni perché si sarebbero intaccati i principi fondamentali dello stato di diritto, dato che non si può “rispedire” qualcuno in un paese dove si rischiano persecuzioni, processi ingiusti e tortura.
Lo stesso Kristersson, prima dell’approvazione della nuova legge sull’antiterrorismo che dovrebbe soddisfare le pressanti istanze turche, aveva più volte precisato che le estradizioni non dipendevano dalle decisioni dell’esecutivo ma da quelle degli organismi giudiziari, mentre il governo turco auspicava fatti concreti per evitare che gli appartenenti alla diaspora curda raccogliessero fondi e reclutassero membri per le battaglie (non solo in armi, ma di qualunque genere) dei “terroristi”.
Sempre nello stesso periodo sono partite delle proteste in Svezia che hanno reso il clima ancora più rovente: la prima dimostrazione è stata messa in atto da alcuni cittadini curdi, ed è consistita nell’appendere a testa in giù un manichino raffigurante Erdogan nei pressi del consiglio comunale di Stoccolma, alludendo alla sorte del cadavere di Mussolini in piazzale Loreto.
Mentre in Turchia si gridava allo scandalo e si invocavano pesanti provvedimenti a carico dei manifestanti, dalla Svezia il procuratore della capitale diceva che nel paese vige la libertà d’espressione e che quindi non ci sarebbe stata nessuna inchiesta giudiziaria.
Dall’ambito politico opposto, quello dell’estrema destra pro-atlantista, è stata inscenata un’altra protesta: il politico con doppia cittadinanza, svedese e danese, Rasmus Paludan, fondatore del partito Stram Kurs (Linea Dura), ha bruciato delle copie del Corano prima a Copenaghen e poi a Stoccolma dichiarando che avrebbe <<continuato fino a quando la Turchia non farà entrare la Svezia nella NATO>>: voleva riprovarci anche nel Regno Unito che però gli ha vietato l’ingresso nel paese, mentre in Svezia le iniziative dell’estremista venivano prima bloccate dalla polizia per poi non essere vietate da un tribunale svedese, il quale ha precisato che non c’è nessuna legge che vieta di bruciare un testo sacro.
Mentre Erdogan dichiarava che la Svezia non sarebbe entrata se non avesse cominciato a rispettare l’Islam, altri manifestanti turchi bruciavano la bandiera svedese ed esponevano manifesti con la foto del politico xenofobo e una “X” sopra.
Inoltre il paese in questi mesi è stato colpito da diversi attacchi informatici rivendicati dalla sigla hacker (sarebbe più corretto dire “cracker”) “Anonymous Sudan”, con l’obiettivo dichiarato di “punire” chi contrasta l’Islam: in realtà sarebbero dei cybercriminali russi che, soffiando sul fuoco, aizzerebbero i musulmani nel paese per far desistere la Turchia dalla ratifica.
Nei primi giorni di Febbraio, quando la Turchia era già in campagna elettorale da mesi e in “campagna repressiva” contro gli oppositori politici, un tremendo terremoto ha colpito la zona al confine tra Siria e Turchia: sono morte più di 50 mila persone per la mancanza di prevenzione, alimentata dalla “lobby” corrotta delle costruzioni, e insieme ad atti di eroismo si sono verificate delle vili speculazioni sulla distribuzione degli aiuti e sulla gestione dei soccorsi.
Verso la fine del mese, dopo annunci di sospensione delle “trattative”, queste venivano riavviate fino all’entrata della Finlandia, mentre Sanna Marin e il Partito Socialdemocratico perdevano le elezioni parlamentari, e il paese è ancora in attesa della formazione di un nuovo governo che riunirebbe la destra moderata e quella più estrema.
A Marzo il parlamento ungherese rinviava ancora il voto sull’entrata delle due nazioni, per poi approvare solo quelle della Finlandia con meno di 10 voti contrari.
Intanto riprendono i colloqui sul “mercato diplomatico” per l’adesione della Svezia, insieme alla manifesta disponibilità di Biden di fornire i famosi aerei di combattimento, e quindi l’entrata del 32esimo paese nella NATO potrebbe dunque concretizzarsi durante il vertice annuale del patto atlantico, che si terrà a Luglio a Vilnius, in Lituania.
DOMANDE ANCORA SENZA RISPOSTA: COME VA A FINIRE?! COSA POSSIAMO FARE?!
Sono ancora molteplici le domande senza una risposta definitiva... Ad altre invece possiamo rispondere agendo concretamente...
Partiamo dalla questione specifica delle estradizioni: analizzando le diverse “fonti aperte giornalistiche” ci risulta che delle circa 170 estradizioni richieste ne sono state concesse almeno due in questo frangente specifico (entrambe dalla Svezia e in un caso per una persona accusata di reati comuni e non di “terrorismo”) e negli scorsi anni, stando a quanto riportato sulla stampa, quelle concesse dai due paesi scandinavi verso la Turchia, un paese guidato da un autocrate e senza un’effettiva separazione di poteri e in cui i diritti umani basilari vengono sistematicamente calpestati, sarebbero state solo una manciata.
A parte l’entrata della Finlandia (e quella della Svezia che, salvo colpi di scena, sembra prossima) e al di là delle richieste turche che sono apparse da subito spropositate (e che per fortuna, al momento, sono state largamente -ma non completamente- inattese), il clima nei due paesi scandinavi per la comunità curda pare più tempestoso... Come reagiranno i citadini e i governi sui suoli delle due democrazie liberali nordiche? Verranno garantiti i diritti fondamentali anche con i nuovi esecutivi?
I nuovi governi di destra ne concederanno altre? Rispetteranno il citato memorandum a danno della comunità curda, criminalizzando anche chi è solo ideologicamente vicino al PKK e agli ambienti della sinistra curda? Comunità che, non è di secondaria importanza, in Rojava sta sperimentando insieme ad altri popoli un esperimento di democrazia diretta con pochi precedenti simili nella storia dell’umanità, e che agli “occidentali” piace solo quando combatte l’ISIS al fianco della NATO mentre, schizofrenicamente, il secondo esercito NATO più numeroso (quello turco) la vorrebbe annientare. Tra l’altro la Turchia accusa gli USA di aver dato vita a uno “stato terrorista”...
Passando allo scenario di un’“alleanza” della Turchia con la Siria, quest’ultima potrebbe cominciare a contrastare apertamente i curdi e le altri genti del Rojava, risparmiando al paese NATO un’“imbarazzante” e impegnativa invasione all’interno dei suoi confini, iniziata con l’operazione “claw sword” (segnata anche da un sostanziale "embargo mediatico") e non portata avanti fino all’estreme conseguenze, e quindi con una massiccia invasione via terra come si era annunciato.
Intanto la “vittoria” (intrinsecamente truccata e nonostante questo comunque non assicurata -il che lascia almeno qualche flebile ma concreta speranza di cambiamento, considerando che comunque l'AKP ha ottenuto i risultati più bassi negli ultimi vent'anni-) alle elezioni fornirà a Erdogan un ampio margine di repressione sul fronte interno (se non totale campo libero), mentre il potenziale “male minore” dell’altro nazionalista-kemalista, Kilicdaroglu, è al momento ridotto a ferita opposizione in democratura.
La questione dell’entrata nel patto atlantico, potrebbe sembrare superfluo osservarlo, è connessa agli equilibri geopolitici messi in discussione con il conflitto in Ucraina: chi (come chi scrive) non è schierato “né con Putin né con la NATO”, come quei cittadini svedesi che hanno protestato contro l’adesione all’alleanza e più in generale <<contro la guerra tra USA, Russia e Cina dove funzioniamo come uno stato vassallo>> nel “RisiKo” reale, come deve agire concretamente per costruire la pace ripudiando la guerra?
Questo però è un argomento che tratteremo più approfonditamente in altri articoli dedicati alla guerra in Ucraina che stiamo preparando. Intanto vi invitiamo a dire la vostra nei commenti qui sotto, sui social o a discuterne di persona quando ci incontreremo, così come vi incoraggiamo a commentare, criticare o a fare puntualizzazioni sugli aspetti problematici che emergono da queste righe e dalla complessità dell’intreccio di questioni così cruciali per gli equilibri politici e socio-economici del nostro interconnesso pianeta...
E intanto possiamo e dobbiamo sforzarci di comprendere le ingiustizie che si vivono ad altre latitudini, e poi “agire” di conseguenza come comunità internazionale, come abitanti del pianeta e, banalmente, usando tutti gli strumenti che abbiamo per supportare chi le vive quelle ingiustizie, sfruttando i margini di pressione verso chi detiene gran parte del potere, margini di cui godiamo nelle democrazie sicuramente imperfette, ma non ancora completamente “degenerate” verso un autoritarismo puro e brutale.
Grazie di essere arrivat# fin qui, spero che questo post/ricostruzione sia stato in qualche maniera utile.
Anarco-Pacifista
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