10.3.24

QUATTRO ANNI DALLA STRAGE NELLE CARCERI

AGGIORNAMENTI SUL RICORSO ALLA CEDU

Riproponiamo una dettagliata inchiesta, basata su fonti aperte, sulla strage nelle carceri italiane nelle prime giornate del lockdown del 2020 (almeno 13 le vittime in quelle circostanze). Riportiamo alcuni aggiornamenti in merito al ricorso alla Corte di Strasburgo




UNA "STORIACCIA" ALL'ITALIANA E IL SISTEMA CARCERARIO CHE "DIS-ABILITA"


A sinistra l'immagine stilizzata di un poliziotto che colpisce una persona a terra. Al centro la scritta "Noi non archiviamo!" e uno striscione con scritto: "verità e giustizia per i morti di Sant'anna". In alto a destra le immagini delle 9 vittime. In basso e a destra immagini dei medicinali "razziati", in particolare metadone.


Quattro anni fa veniva annunciato il primo lockdown per la pandemia del Covid. Mentre stavamo per sperimentare vagamente cosa vuol dire essere "ristretti" in una specie di arresti domiciliari collettivi, le condizioni di vita nelle discariche sociali chiamate carceri peggioravano oltre l'insostenibile.

Scattavano così proteste e rivolte nelle prigioni italiane. Nell'immediatezza morivano tredici detenuti: nove erano ristretti a Modena, tre a Rieti, uno a Bologna. Alcuni sono morti durante o subito dopo i trasferimenti appena disposti. Ufficialmente sarebbero morti tutti per overdose da psicofarmaci, in particolare -ma non solo- metadone e altri oppiacei. Eppure, i corpi di alcune vittime presentavano segni di violenza e molti sono stati esaminati senza un approfondito esame autoptico e, in alcuni casi, celermente cremati.

I farmaci erano stati sottratti dalle casseforti delle infermerie in cui erano custoditi. Già solo fermandoci a questo dato, è evidente che la custodia dei medicinali non ha funzionato. E le cose non sono andate nel verso giusto nemmeno nella gestione complessiva dei disordini. A partire da alcune denunce riguardanti la carenza nei soccorsi, in un sistema sanitario che è al tracollo, una situazione in completa rovina che è amplificata nei "micromondi" carcerari. Inoltre, basterebbe formare più persone a fare un'iniezione di naloxone, l'antidoto per le overdosi da oppiacei, per salvare tantissime vite, dentro e fuori le prigioni.

Il carcere è un'istituzione totale atta a restringere delle persone e attualmente, nella stragrande maggioranza dei penitenziari di tutto il globo, lo fa nella peggiore maniera possibile, educando all'oppressione e al crimine, disumanizzando chi vi è detenuto e facendo tutt'altro che riabilitarlo.

Secondo chi scrive questo post, che idealmente si definisce "abolizionista" e che crede nel "riduzionismo" come tattica per tendere verso una società utopica senza barriere e galere, la quasi totalità delle persone incarcerate non dovrebbe nemmeno essere ristretta, se non nei casi limite di un pericolo oggettivo e violento per il resto della società. Anche il "peggiore" dei criminali, inclusi quelli con i "colletti bianchi", non dovrebbe mai vedere i propri diritti umani violati. Viene da sé che, in una struttura adibita a tenere persone come animali in gabbia, l'eventualità di una rivolta dovrebbe essere all'ordine del giorno. Non la pensano così alcune delle persone che hanno "gestito" quei momenti, comunque oggettivamente critici, e che hanno usato la "straordinarietà" delle rivolte come argomentazione per discolparsi.

Un altro detenuto, di nazionalità indiana, è poi deceduto a Terni a distanza di un mese e mezzo, ufficialmente per cause naturali, presumibilmente aggravate dal caos delle rivolte e dalle croniche mancanze sanitarie nel sistema carcerario. 

Un altro, infine, è morto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dopo circa un mese dalla "mattanza" ripresa dalle telecamere di sorveglianza che, probabilmente, gli "agenti-picchiatori" ritenevano spente. Il 3 Maggio Lamine Hakimi, con una diagnosi di schizofrenia e colpevole di un piccolo furto, moriva in una cella di isolamento. La causa ufficiale del decesso, anche per lui, è overdose da piscofarmaci. Nel suo caso però c'è una differenza non da poco: non avrebbe trangugiato i farmaci nel caos delle rivolte, ma in una cella in cui era da solo e in cui doveva essere sotto strettissima sorveglianza. Per la sua morte è stata aperta un'inchiesta, parallela a quella delle efferatezze commesse nel carcere campano. Sarebbero stati redatti falsi verbali sul suo stato di salute dopo che era stato sbattuto in isolamento. E prima, anche lui era stato pestato e torturato. Secondo alcuni testimoni sputava denti e sangue, dopo essere stato colpito anche con un casco usato come arma impropria. Esistono anche delle foto del suo volto tumefatto allegate a un referto medico.

In aggiunta, tra le troppe morti per suicidio in carcere negli ultimi mesi, solitamente relegate nei trafiletti delle notizie locali sui quotidiani mainstream, va almeno ricordata quella di Fakhri Marouane: anche lui era tra le vittime e i testimoni delle torture nel carcere casertano. Era stato trasferito a Pescara, dove si è dato fuoco, a seguito di un richiamo disciplinare.

Bisogna ricordare che in questa "storiaccia" italiana le persone coinvolte erano quasi tutte migranti, con storie di profonde marginalizzazioni e con intrecci di diversi tipi di discriminazioni: quelle etniche, quelle economiche, quelle che derivano da un uso problematico di sostanze legali e illegali, quelle legate allo stato di salute psicofisica, e così via... Una delle vittime detenute nel carcere modenese, Hafedh Chouchane, sarebbe uscito di prigione dopo pochi giorni. Nella sua storia detentiva arrivò a ingerire pile, una lametta da barba e a cucirsi le labbra per protesta.

I frammenti noti di quelle tragiche storie, storie di esseri umani trattati come "scarti" della società, li abbiamo raccolti in un'inchiesta basata sulle svariate fonti aperte che siamo riusciti a censire. Due articoli che cercano di ricostruire la dinamica degli eventi e che includono una serie di digressioni su varie tematiche connesse alla carcerazione: dal "welfare mafioso-proibizionista" all'appetenza indotta dalle droghe di Stato, pubblicizzate dal marketing delle "pillole magiche", passando per l'ipocrisia e l'oppressione connaturata nel vigente sistema detentivo. Qui trovate la prima parte e qui invece la seconda.



Ritratti delle 9 vittime del carcere di Modena dell'artista "Asparago"
I ritratti delle 9 vittime del carcere di Modena dell'artista "Asparago" in mostra a un'iniziativa che si è tenuta a Modena due anni fa presso l'associazione "Idee in circolo"


L'ULTIMA SPERANZA DI RICERCA DELLA VERITÀ DA STRASBURGO

I filoni di indagine aperti per i fatti del carcere Sant'Anna di Modena sono stati almeno tre: uno per le carenze nei soccorsi e per tortura, uno per lesioni, omicidio colposo e morte conseguente ad altro reato e, infine, uno per danni a persone e cose a carico dei detenuti. Stando a quanto riportavano le cronache la scorsa estate, tutte le indagini volte ad accertare responsabilità di guardie penitenziarie e medici sono state archiviate o era stata fatta richiesta di archiviazione dalla procura. 

Tuttavia sono stati presentati due ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (CEDU in acronimo), uno dai familiari del citato Chouchane e un altro da parte dell'associazione Antigone. Le motivazioni addotte riguardano la violazione dei diritti umani dei ristretti, incluse le torture, e il diritto ad avere un giusto processo. Nonostante le evidenti criticità nella gestione di rivolte e soccorsi, e considerando gli evidenti segni di percosse sui cadaveri, le archiviazioni dei procuratori appaiono quantomeno troppo "frettolose", non essendo stato avviato nemmeno il primo grado di giudizio.

Uno spiraglio di luce per la ricerca delle verità su questa buia "storiaccia" si è aperto ad Agosto: la CEDU ha definito ammissibile il ricorso presentato dai parenti del ristretto. Si dovrebbe perciò fare chiarezza sulla mancanza di protezione di persone fragili nelle mani dello Stato, sulla carenza di appropriate indagini e sulla plausibile violazione di sottoporre i ristretti a trattamenti degradanti e disumani.

Intanto a Novembre il Governo italiano, tramite l'avvocatura di Stato, ha risposto alla Corte affermando che Chouchane è morto solo perché avrebbe partecipato alle rivolte, assumendo volontariamente metadone. Nulla di più poteva essere fatto per soccorrerlo al meglio e non c'è stata nessuna negligenza nella custodia dei farmaci. 

A Dicembre i difensori del padre e del fratello di Chouchane, la costituzionalista Barbara Randazzo e l'avvocato bolognese Luca Sebastiani, hanno presentato le contro-argomentazioni: contestano la tesi del cosiddetto "rischio eccentrico", cioè che la vittima si è messa in pericolo da sola, oltre alla <<superficiale e sommaria>> ricostruzione dei fatti.

Continuiamo a esigere verità e giustizia per le vittime di quelle tragiche giornate e per tutte le persone ristrette. Noi non archiviamo!


Amleten Recluos


Come di consueto alleghiamo una citazione musicale in tema: si tratta di "Sasà e il secondo secondino" della "Banda POPolare dell'Emilia Rossa". Il titolo cita il soprannome di Salvatore Cuomo Piscitelli, una delle vittime della strage.





ultima modifica 09/04/2024 14:57

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