IL CRED AVVISA: ELEMENTI PROBATORI RACCOLTI DURANTE CONFLITTI DA UNA PARTE NON TERZA, ACCUSATA DI GENOCIDIO, SONO INCOMPATIBILI CON UN PROCESSO EQUO.
Pur ammettendo che attività benefiche nascondessero finanziamenti diretti alle attività militari di Hamas, attribuiti ad Hannoun e altri nell’inchiesta “Domino”, i rapporti economico-militari con un governo accusato di genocidio restano comunque più gravi, oltre che illegali.
E bisognerebbe anche cercare di capire fino a che punto le informazioni israeliane, finite nell’inchiesta che identifica il presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia come il vertice della presunta "cellula terroristica", influenzino o vizino il procedimento giudiziario e l'essenza stessa della democrazia.
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| Mohammad Hannoun immortalato in un video dell'Associazione dei Palestinesi in Italia. |
Se pure si ammettessero i finanziamenti diretti alle attività militari di Hamas, attribuiti a Mohammad Hannoun e ad altre persone nell’inchiesta “Domino”, che sarebbero stati celati dietro raccolte fondi benefiche, oltre alla presenza di una “cellula” italiana del discutibile movimento politico e di resistenza militare palestinese, resterebbe comunque un fatto: sono molto più gravi, e illegali, i rapporti economico-militari con un governo accusato di genocidio. Questo perché il diritto internazionale vieta qualunque rapporto del genere anche quando è solo plausibile che ci sia un genocidio in corso, plausibilità e sospetto che sono stati messi nero su bianco due anni fa all’Aja.
Ma la legge si rispetta, o si fa finta di rispettarla, solo quando conviene. La deontologia giornalistica impone di specificare e chiarire sempre quando delle persone sono semplicemente indagate, e quando sono considerate innocenti, e cioè fino a quando non c’è una sentenza definitiva (e non è detto che sia quella di primo grado). Naturalmente, ci sono dei comportamenti, soprattutto quelli adottati da chi ha responsabilità di governo, rilevanti da un punto di vista politico ma non punibili penalmente. In quei casi si invoca la presunzione di innocenza, glissando su delle pratiche di gestione della cosa pubblica criminali, anche se per la giustizia non sono considerate tali. Oppure sono considerate criminali, ma magari si riesce addirittura a cambiare il sistema legale a colpi legislativi con i propri avvocati che fanno le leggi in parlamento. Oppure, più semplicemente, si sfrutta qualche cavillo per sfuggire alle proprie responsabilità.
Nel caso di Hannoun, come da copione mediatico, la presunzione di innocenza è praticamente svanita dalla stampa mainstream, con pochissime eccezioni che cercano di entrare nel merito dell’inchiesta (e proveremo a farlo brevemente fra poche righe, anche se non è lo scopo fondamentale di questo pseudo-editoriale: la cosa più importante è troncare ogni rapporto con uno dei peggiori stati-canaglia e terroristici della storia per fermare un ciclo di violenza che è andato avanti per troppo tempo).
Presunzione di innocenza che il ministro Piantedosi dice di seguire, ma che di fatto non sembra rispettata dal titolare del Viminale, che ha dichiarato: <<Pur con la doverosa presunzione di innocenza che va sempre riconosciuta in questa fase, è stato squarciato il velo su comportamenti e attività che, dietro il paravento di iniziative a favore delle popolazioni palestinesi, celavano il sostegno e la partecipazione a organizzazioni con vere e proprie finalità terroristiche di matrice islamista>>. Se c’è la presunzione di innocenza non si capisce come sia possibile che questo metaforico velo sia stato già squarciato. Leggendo queste parole, sembra quasi che la sentenza di condanna sia stata già emessa...
Eppure, provando a entrare brevemente nel merito di quel poco che si sa fino ad adesso, si nota che Hannoun è stato indagato con accuse simili nei primi anni duemila, ma all’epoca le prove raccolte dalla procura di Genova contro di lui furono ritenute non sufficienti. Se sono legittimi i sospetti che ci sia una “cellula terroristica” di Hamas in Italia, allora sono altrettanto legittimi i timori che il peso delle informazioni dell’intelligence israeliana nell’attuale indagine possa influenzare e viziare l’attività giudiziaria. I fanatici terroristi ed estremisti ebraici del governo israeliano, infatti, considerano organizzazioni terroristiche perfino le Nazioni Unite e l’UNRWA. Ai criminali di guerra degli apparati israeliani, che inviano informazioni ai ministeri e alle nostre procure, non serve molto per dire che un’organizzazione che magari raccoglie fondi anche per i figli di presunti combattenti morti, insieme ad altri civili non ancora sterminati barbaramente, sia terroristica.
I legali di Hannoun, presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia, sostengono che le accuse contenute nelle più di trecento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare sono <<ampiamente basate su elementi probatori e valutazioni, anche giuridiche, di fonte israeliana, senza la possibilità di un approfondito e reale controllo sui contenuti e sul rispetto dei principi costituzionali, convenzionali e codicistici della formazione della prova. C’è il rischio che le azioni concrete di solidarietà con la martoriata popolazione palestinese siano interpretate come sostegno, o addirittura partecipazione, ad attività terroristiche, ammettendo che tale qualificazione possa ritenersi, e in che misura, corretta>>. In parole povere: l'attendibilità delle prove fornite da Israele è quantomeno dubbia, l'ala militare di Hamas ha commesso dei crimini gravi ma esiste anche un apparato civile riconducibile al partito che svolge attività non militari e, infine, la resistenza armata è consentita dal diritto nei limiti previsti.
Il CRED, Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia, amplia il discorso sulle prove fornite direttamente da Israele, mettendole in relazione con i pericoli per la democrazia: <<L’impianto accusatorio palesa un elemento di eccezionale criticità: una parte rilevante delle contestazioni si fonda su documentazione prodotta dall’esercito israeliano nel corso di operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza. Tali materiali vengono recepiti come prove documentali senza un effettivo vaglio di terzietà, attendibilità e verificabilità.
Israele non è un soggetto neutrale né una semplice “parte in conflitto”. È uno Stato attualmente sotto scrutinio per genocidio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia e destinatario di misure provvisorie vincolanti. Questo dato giuridico non può essere ignorato nel momento in cui le sue forze armate producono materiale probatorio destinato a incidere sulla libertà personale di cittadini e residenti in Italia. Si tratta di documenti formati in un contesto radicalmente incompatibile con le garanzie del giusto processo: assenza di contraddittorio e produzione da parte di un apparato militare direttamente coinvolto in crimini oggetto di indagine internazionale. Il loro utilizzo determina un grave slittamento tra cooperazione giudiziaria e recepimento acritico di intelligence militare.
Particolarmente allarmante è la qualificazione di attività di assistenza umanitaria come “finanziamento al terrorismo”, fondata sull’inclusione delle organizzazioni beneficiarie in liste predisposte da un governo straniero. In tal modo, l’etichettamento politico sostituisce l’accertamento giudiziale: se l’esercito israeliano qualifica un soggetto come “familiare di un terrorista”, tale definizione viene assunta come presupposto di reato dal giudice italiano, senza alcuna verifica autonoma.
(...)
Il CRED richiama la magistratura al rispetto rigoroso dei principi di autonomia e indipendenza. L’accertamento penale non può fondarsi su prove prodotte da un apparato militare in guerra, né su etichette politiche. In gioco non vi è soltanto la posizione degli indagati, ma la tenuta dello Stato di diritto e il confine, sempre più fragile, tra giustizia e guerra giuridica.>>.
Come al solito, siamo di fronte a un doppio standard, un doppio metro di giudizio: foraggiare illegalmente un governo, un esercito terrorista e i coloni paramilitari in Cisgiordania, è cosa buona e giusta. Nel mentre, al di là di potenziali complicità in azioni militari (tutte da dimostrare, a maggior ragione se basate su quello che dice il Mossad e altri apparati israeliani), non si pensa minimamente che tutte le attività umanitarie dirette alla popolazione di Gaza debbano, per forza di cose, passare per il governo e l’amministrazione locale, che è quello di Hamas. Governo regolarmente eletto, proprio come è stato eletto il governo del ricercato-genocida Netanyahu che, proprio in queste ore, è passato indisturbato sopra i nostri cieli, avendo cura di evitare i paesi dove sarebbe più probabile il suo arresto. Movimento politico, quello di Hamas, verso cui chi scrive, a differenza del Dott. Hannoun, non ha simpatia. Così come non ho simpatia politica verso i partigiani democristiani e “azzurri-badaglioni” che hanno liberato dal mostro nazi-fascista il posto in cui sono nato, pur essendo loro grato per questo. Movimento politico che, oltre a non rispettare i diritti dei detenuti e delle persone LGBTQUIA+, tra le varie cose, non vede di buon occhio gli operatori umanitari internazionali, stretti tra due fuochi: da Hamas tendono a essere considerati delle spie, da Israele dei terroristi pro-Hamas. Ovviamente, i beni di prima necessità, ma anche il personale umanitario di tutte le associazioni, locali e internazionali, devono prima ricevere l’ok di Israele. Il sedicente stato ebraico da decenni controlla confini terrestri, marittimi, aerei, valuta, etere, registro delle nascite, acqua potabile, calorie medie destinate a ogni singolo abitante e pure chi entra e chi esce... L’occupazione illegale è la radice di ingiustizie e delle spirali di violenza, e bisogna fermare quella se si vuole davvero cercare di porre fine allo spargimento di sangue e a ogni tipo di terrorismo, quello istituzionale “di stato” con le armi ipertecnologiche, e quello “dei poveri” fatto di razzi rudimentali e kamikaze. Ogni giorno di genocidio in più continua ad allontanarci da questa meta, e ci fa precipitare verso un futuro molto più tetro, non solo per i palestinesi!
In conclusione, la legge andrebbe sempre rispettata. Può e deve essere contestata quando è ritenuta ingiusta, ma la presunzione di innocenza e il garantismo vanno sempre seguiti, non solo quando fa comodo. E, in questo caso, la presunzione di colpevolezza per uno stato sospettato del “crimine dei crimini”, ovvero il genocidio, impone una serie di misure che non sono state rispettate: come si scriveva all’inizio, tra le misure da prendere anche quando c’è solo il sospetto che sia in atto un genocidio, si comincia dallo stop delle forniture di armamenti. Queste disposizioni sono state pensate proprio perché dopo il genocidio di ebrei e rom, e dopo gli stermini sistematici di oppositori politici, gay e diversamente abili durante la Seconda Guerra Mondiale, si era detto “mai più!”. Non ci possiamo aspettare una campagna “pro-giustizia” in questa direzione dopo più di due anni di genocidio dal complesso militare-governativo-industriale: bisogna continuare a fare pressione su chi ci governa, esigere il rispetto del diritto internazionale e intensificare i nostri sforzi nelle piazze e in tutti gli altri spazi che come società civile abbiamo a disposizione.
Editorialista Travagliato
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