23.3.23

PERCEZIONI DALLA SANTA FEIRA

MOLTIPLICHIAMO MOMENTI COME QUESTI ED ESTENDIAMOLI AD ALTRI AMBITI DI VITA E CULTURA






La scorsa Domenica si è conclusa all’Ex Asilo Filangieri di Napoli la quinta edizione della “Santa Feira, la festa dell’illustrazione e dell’editoria indipendente”, una fiera organizzata orizzontalmente da una sorta di direzione artistica collettiva: come avvenuto per altri eventi e festival underground di arte ed editoria indipendenti, anche questa volta il nostro auto-inviato per nulla speciale, il Cronista Autoprodotto (nonché autogestito e poco gestibile, ma è meglio così!) è andato all’ Asilo per raccontarci in maniera atipica e poco professionale (ma molto spontanea) quello che ha visto, dilungandosi in digressioni che si spera troviate in qualche maniera utile (Cronista Autoprodotto è tendenzialmente logorroico e grafomane, abbiate pazienza…).

Abbiamo incontrato nuovamente tante/i compagni/e e amic# che avevamo visto agli altri “fest” e ne abbiamo conosciuto altr#: è stato bello avere l’opportunità di consolidare o avviare nuove relazioni di attivismo, militanza e in un certo senso anche professionali.





Con i nostri scarni mezzi non siamo riusciti a “coprire” tutte le iniziative, visitare tutti i banchetti e incontrar# tutt#, ma per chi volesse aggiungere (o rimuovere, fare delle precisazioni su) qualunque cosa da questo articolo-“ricordo” basterà semplicemente contattare la nostra pseudo-redazione che si attiverà immediatamente... Buona lettura!




 

IL POETA DEVE FARE IL POETA, DEVE RACCONTARE LE COSE… IL FILOSOFO O IL GIORNALISTA PURE! MA SERVONO “SPAZI” E “MOMENTI”, E NE SERVONO TANTI!

Prima di entrare nel merito del tema su cui si è incentrata questa edizione (ossia il cyberfemminismo del “Manifesto Cyborg”, della filosofa Donna Haraway: femminismo, cyberpunk, narrazione e immaginazione), e prima di mostrarvi le esposizioni che siamo riusciti ad apprezzare e immortalare interagendo con le diverse individualità e collettività, partiamo dall’ultima “talk”, quella che ha chiuso il festival: dalla presentazione del libro di poesie “L’ospite di sé stesso” di Achille Pignatelli sono emerse infatti delle tematiche fondamentali che intrecciano la produzione culturale all’attivismo e alla militanza politica, alle pratiche di autogestione e di organizzazione alternativa delle nostre vite.

Sul palco oltre all’autore e Gaetano, uno dei moderatori dei diversi eventi nonché redattore di Icono, c’era anche Salvatore, che insieme ad Achille è un’attivista di NaDir (della rivista Icono, prodotta nell’Asilo, e della rete NaDir Napoli Direzione Opposta ne abbiamo già parlato nel post dedicato al festival Ué Underground Eccetera).

Tema portante della talk è stato l’impegno sociale e politico in senso ampio, e nello specifico di come l’arte e la poesia possono essere usate per <<smettere di sentirci come tante individualità che fanno la propria battaglia per la vita: questo non è vivere, dobbiamo incontrarci e capire come rompere le “barriere di vetro” in cui siamo rinchiusi (…) per impiegare il tempo limitato della nostra vita in qualcosa che pensiamo sia utile>>, svincolandoci dalla logica del capitale che concepisce i legami solo in funzione del suo aumento.

Viene menzionata la poesia “Fisica dell’acqua” in cui troviamo la metafora dell’unione di gocce che si trasformano in torrente, un espediente retorico per parlare di manifestazioni e politica dal basso. Non ho avuto modo di parlarne con l’autore, ma sicuramente viene in mente il finale della lettera-testamento di Lorenzo Orsetti, morto in Rojava combattendo l’ISIS che recita: <<ogni tempesta inizia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia>>.

Dato che viviamo concretamente nelle dimensioni di spazio e tempo per impegnarci socialmente servono dei luoghi e dei momenti di aggregazione come L’Asilo e come La Feira, degli <<spazi preziosi, perché senza luoghi come questi non avrebbe senso il lavoro artistico>>, dice Achille.






Purtroppo a Napoli pare si stia seguendo un “trend” globale, imposto dalla tanto grigia quanto efficace ed omologante meccanica del capitale e della politica verticale a favore di pochi. Perciò luoghi e momenti come questi sono minacciati dagli interessi finalizzati alla mera crescita del volume di affari, mentre solidarietà e convivialità decrescono:

gli spazi sociali rappresentano delle preziose prede per la voracità di maxi-investitori, delle occasioni per costruire eco-mostri “chic” per turisti abbienti, mentre una parte della popolazione vive in abitazioni precarie, o peggio viene criminalizzata perché occupa case letteralmente abbandonate per far salire il prezzo del bene primario che è il “tetto sopra la testa”(meccanismo della scarsità a sua volta alimentato dall’esplosione dei “bed and breakfast”). A volte ciò si compie con il beneplacito delle amministrazioni locali che, con la scusa (o l’illusione) di far girare l’economia svendono (o regalano) determinati spazi dopo averli inizialmente concessi a enti o associazioni “amiche” che, arrivati al punto di non poter più sostenere le spese, non hanno “altra scelta” di essere sfrattate facendo subentrare il “privato”;

i momenti di aggregazione –perfino quelli finalizzati al puro diletto- vengono minacciati da oligopoli e monopoli del divertimento e dell’intrattenimento, partendo da regolamenti bizantini e burocrazie che favoriscono locali tanto costosi quanto omologanti dal punto di vista culturale, fino ad arrivare all’invasione (largamente auto-indotta) del nostro già ristretto tempo (quello che ci si riesce a ritagliare all’infuori del “produci-consuma-crepa”) dall’appetenza indotta verso film, programmi e serie tv effimeri (più che “leggeri”), oltre che di social network e applicazioni studiate per renderci come dei ludopatici in astinenza da slot-machine.

Finito questo “pippone” abbastanza materialista (ma che funge da premessa imprescindibile a proposito dei problemi più immediati per chi attua pratiche auto-gestionarie e si “auto-produce”) e specifico sulle meccaniche del capitalismo-politico urbanistico, passiamo a qualcosa di più trascendente/universale, la poesia: <<non serve conoscere che cos’è un poliptoto o una sineddoche>> per essere poeti, perché al poeta spetta <<dire delle cose, non gli interessano strumenti di erudizione>>, e perché il compito degli artisti è quello di riflettere sulla vita e sui tempi, per poi incidere affinché avvenga un cambiamento dello stato delle cose.






La poesia attua una sorta di mediazione tra l’individualità dell’autore e il sentire collettivo-universale, e facendo percepire emozionalmente ciò che è “cosmico”, stabilendo un contatto tramite il pensiero emotivo con il “globale”, può svelare le insidie delle narrazioni dominanti (che tendono a essere falsamente rassicuranti o a confermare preconcetti e pensieri semplicisticamente sbrigativi), facendo capire l’importanza di alcune cose come il rispetto verso la natura: <<con l’avvento della rivoluzione industriale il luogo naturale è stato trasformato in una risorsa>> da saccheggiare. Questa svolta epocale ha permesso, tramite il controllo di alcuni dei mezzi di produzione e dell’uso della forza militare, di <<prendere dei corpi naturali trasformandoli in prodotti: per esempio si prende l’acqua e la si mette all’interno di bottiglie di plastica, ma non dovrebbe nemmeno esistere un mercato dell’acqua!>>. Nell’800 i poeti romantici non immaginavano e non comprendevano pienamente quello che stava cambiando nel nostro rapporto con la natura, <<fatta eccezione per Leopardi che invece cominciava a metterci in guardia>>.

Mi sentirei di aggiungere che oltre alla figura del poeta e dell’artista, anche le figure di altre “professioni” (a me piace più dire “ruoli sociali” che “utopisticamente” non dovrebbero essere rigidamente definiti, ma orientati in senso “miscellaneo”) dovrebbero svincolarsi maggiormente dalle logiche accademiche e tendere verso un agire più concreto e urgente: si è detto che il poeta “deve dire le cose” e non deve necessariamente conoscere complesse questioni di retorica per essere considerato tale, così come i limiti dei “target” imposti dall’industria editoriale, e facilitati dall’industria dei “big data” andrebbero “violati”: per esempio certi libri di poesie non vengono “targettizzati” per i bambini perché ritenuti troppo ingenui, oppure non vengono pubblicizzati tra gli operai perché ritenuti non abbastanza “eruditi” per abbracciarne la complessità.

Mi sento di aggiungere che allo stesso modo bisognerebbe ripensare anche figure come il filosofo: chiunque può “filosofare” senza conoscere la storia della filosofia, senza aver letto testi dei grandi del passato che a torto o a ragione si impongono nei discorsi accademici.

E, da Cronista Autoprodotto, mi sento di aggiungere (come ho fatto in un brevissimo intervento) che tutte le considerazioni sull’autogestione, sull’agire collettivo, sull’impiegare al meglio il proprio tempo, sulla concretezza dell’agire poetico e politico al di là delle competenze “dogmatiche” e accademiche, devono essere estesi anche ad altri media, ad altri ambiti della vita e della comunicazione, la nostra principale facoltà che permettendoci di tramandare conoscenze ci distingue anche da altri esseri viventi… E quindi si dovrebbero estendere anche al giornalismo che con la sua scrittura tendenzialmente “chirurgica” dovrebbe essere il cane da guardia dei potenti (e non da salotto) e dovrebbe cercare di essere il più obiettivo possibile nel raccontare la storia “iper-contemporanea”… Tutti dovremmo essere maggiormente familiari con concetti come la verifica delle fonti, per esempio... <<Scrivere per cambiare il Mondo dovrebbe essere un atto militante!>> chiosa Achille, e condivido in pieno, al di là dell’ambito più o meno specifico della scrittura (a volte scrittura giornalistica e narrativa hanno i contorni sfumati)...

A proposito di altri esseri viventi e di facoltà umane, Achille dice che l’idea della gerarchia nasce nel regno animale mentre le piante si distinguono per essere un corpo più unico e organico: così dovrebbero funzionare anche i beni comuni, <<senza una sede centrale che invia degli input basati su interessi capitalistici>> e organizzati in maniera orizzontale. E a riguardo è calzante l’osservazione di Salvatore: sono troppi gli esperimenti individuali di produzioni dal basso che finiscono solo per aumentare il proprio ego se compiuti <<al di fuori del collettivo e di una dimensione collettiva che accoglie chiunque>> (facendo un po’ di autocritica anche su queste pagine, che nei fatti sono ancora tendenzialmente una “one-person zine”, ci stiamo attivando -insieme alle mie personalità multiple- per estendere il progetto a quante più individualità e collettività possibile, o per “fonderci” con altri progetti e iniziative, magari fino a dissolverci: stay tuned! ; ) e infatti Achille nota che <<dietro un autore egocentrico c’è una dimostrazione di forza>> che è anche parte integrante del modello di competizione capitalista, perché è quella dell’autore <<che deve vendere di più>> (o che deve accumulare più visualizzazioni e follower possibili, nonostante siano labili e infruttuosi).

Dopo la percezione, sensoriale o emotiva, bisogna anche agire!

 

 


 


CYBORG: NON SOLO TERMINATOR E TRANSUMANISTI...

Veniamo ora al dibattito sul Cyborg con Tiziana Terranova, attivista, teorica e docente di culture media digitali e politica dell’Università L’Orientale. L’incontro è moderato anche da Valentina (oltre a Gaetano che abbiamo già visto sopra).








Partiamo chiarendo che esistono almeno due definizioni di cyborg nell’immaginario collettivo:

il primo tipo è quello “organico”, e cioè di un essere animale “potenziato” da strumenti che amplificano delle sue facoltà (anche l’umano è un animale, e anche l’autrice del saggio di cui parliamo fra poche battute era una primatologa, ossia una scienziata dei primati) oppure, come nel noto film Terminator, di un androide dalle fattezze umane. Questo primo modello è quello più vicino anche al cosiddetto “transumanesimo”, una sorta di corrente futurista che, in opposizione al “bio-conservatorismo”, vede di buon occhio tutti gli “innesti” meccanici e genetici che possono potenziare le nostre capacità: esoscheletri o arti bionici che ci permettono di sollevare carichi pesantissimi, macchinari criogenetici per congelare i nostri corpi facendoci risvegliare tra millenni dopo averci sottratto alla morte, manipolazioni genetiche per acquisire capacità di altri animali come la vista di un’aquila o l’olfatto di un cane e così via… Se ci pensiamo bene, anche svariati strumenti che usiamo quotidianamente estendono o amplificano delle nostre capacità: già prima di computer e smartphone la stessa invenzione della scrittura è un qualcosa che ci permette di immagazzinare più informazioni per più tempo, oppure guardiamo a occhiali e cannocchiali ci permettono di amplificare la nostra vista, o ancora pensiamo a megafoni e telefoni che spingono la nostra voce oltre barriere e confini: a detta di chi scrive il dibattito etico sul transumanesimo dovrebbe dunque essere focalizzato sulle possibilità e sui limiti di queste “amplificazioni”.

Il secondo tipo di cyborg è “post-organico”: è quello delle “AI”, le intelligenze artificiali che non hanno un corpo (perché fatto di numeri e codici non tangibili) e che vivono in rete, alimentate da dati ingurgitati e poi digeriti tramite complessi algoritmi, fornendo risultati tramite il funzionamento di operazioni talmente complicate, e auto-complicate, da non essere comprese pienamente nemmeno da chi le ha predisposte, un qualcosa che è al contempo schiavo di chi le crea ma anche alieno rispetto a loro.

A questi due tipi se ne può aggiungere un terzo, quello delineato da Donna Haraway nel saggio “Il Manifesto Cyborg”: Terranova dice che il “cyborg” utilizzato dalla studiosa femminista californiana è un pretesto narrativo (o descrittivo, essendo <<uno strumento di finzione che rientra nella realtà>>, dice la moderatrice) per spiegare che <<sei un organismo cibernetico anche se non hai dei “pezzi” installati nel tuo corpo, perché sei un componente di una macchina, pure se fai il “runner”>>. Dunque anche se consegni pasti in bicicletta seguendo un percorso ottimizzato da un algoritmo sei un “pezzo” della macchina capitalista.

La forma narrativa del Manifesto è legata alle avanguardie storiche, e al suo interno si immaginano nuovi modelli politici e femministi: oltre alla critica del modello femminista liberale (ossia di quel modello semplicistico e teso alla sola eguaglianza tra uomini e donne, senza porsi altri problemi come il gruppo etnico delle donne: una donna bianca di solito non ha i problemi che affronta una donna nera, per fare un esempio)  è un saggio “blasfemo” anche verso quello marxista (che non considera abbastanza le olistiche intersezionalità totalmente dimenticate dal modello liberale), ma non è un’abiura di quella “fede” politica. Anche l’ostica struttura sintattica, che si articola in un susseguirsi di affermazioni, rende la stessa lettura del saggio <<un atto di fede>>, osserva Valentina.






Il cyborg non ha genitori perché è il figlio illegittimo del patriarcato, del capitalismo e della guerra… Sfugge sia alla logica dell’inizio idilliaco, e cioè dell’Eden, che a quella della fine totale, della tragedia da cui si potrebbe forse riscrivere un nuovo inizio, ossia dell’Apocalisse.

L’essere umano è quindi un organismo che riceve dei comandi, degli stimoli esterni, degli “input”: c’è bisogno di cambiarlo questo “cyborg”, di immaginare quali dovranno essere i nuovi “output”, superando le dicotomie a cui ci siamo abituat@: maschio-donna, mente-corpo, primitivo-civilizzato e per l’appunto Eden-Apocalisse, declinabile anche come Paradiso Naturale-Finale tragico atomico. Non a caso il testo è stato redatto in piena guerra fredda, quando la paura della catastrofe globale-nucleare era percepita come più concreta, e dopo che i cambiamenti tecnologici aveva raggiunto un livello tale da modificare profondamente il lavoro e le forme di produzione comunicative: a un cambiamento tanto epocale corrisponde il bisogno di un impegno altrettanto radicale!

 

 

IL CYBERPUNK COME PRODUZIONE ULTIMA DELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO: PINOCCHIO, FRANKESTEIN, E IL VERSIFICATORE SONO I PRECURSORI DEI CYBORG E DI CHAT GPT?!

Il discorso continua nel dibattito sul cyberpunk, seguendo il <<filo rosso>> impostato per i dibattiti della Feira dalla redazione di Icono, riguardante “la Sospensione dell’incredulità” (e cioè quel meccanismo che l’autore o il fruitore di un’opera attua, fingendo che gli elementi fantasiosi siano possibili, meccanismo che si sperimenta anche quando si gioca immergendosi in un “ruolo”) – immaginari e narrazioni: devo ammettere di non essere in possesso degli strumenti conoscitivi e culturali per rendere al meglio questi due intensi e densi dibattiti, ma provo comunque a riportarvi i concetti che mi sono particolarmente rimasti impressi in ordine sparso e confuso, scusandomi sia con voi che con i partecipanti per la lacunosità e le possibili inesattezze (si ribadisce che qualunque richiesta di rettifica o precisazione può essere inviata tramite i commenti sotto, via social, via mail ma non tramite piccioni viaggiatori perché sono contro lo sfruttamento di altri esseri senzienti -seriamente- : )






Oltre alla moderatrice e al moderatore che abbiamo già menzionato, erano presenti due “comparatisti” (docenti di letterature comparate, rispettivamente alla Federico II e a Roma 3) Francesco De Cristofaro e Giuseppe Episcopo.

De Cristofaro spiega che nel libro “Per un’ermeneutica del Cyberspace” (di Linda De Feo, in cui il cyberspazio è inteso come universo reale, e precisiamo che con la parola “ermeneutica” si può intendere l’analisi di un testo includendo gli elementi al di fuori di esso, e quindi fattori storici, culturali e così via, differenziandosi dall’“esegesi” che è focalizzata sugli elementi intratestuali) si parla della nozione del sapere. Di solito viene rappresentata come un albero con diversi rami, ma il Mondo è un qualcosa di molto più complesso, una matassa di fenomeni interdipendenti: per questo sarebbe più pertinente usare l’immagine del rizoma, un intreccio delle “radici” di alcune piante erbacee, un qualcosa che è difficile osservare e comprendere nel suo insieme.

Analogamente bisognerebbe guardare alle narrazioni come dei rizomi, piuttosto che come un archetipo di stampo junghiano (e cioè qualcosa di universale in quanto sedimentato nell’inconscio collettivo), un qualcosa che va ad articolare ciò che definiamo l’immaginario collettivo. De Cristofaro fa poi un esempio che si collega ai discorsi “dogmatici-accademici” che abbiamo visto nel primo paragrafo “poetico-politico”: la “critica tematica”, ossia il confronto di uno specifico tema nelle diverse “letterature” (non solo scritte, ma anche “filmiche” e quindi estendibile a tutti i tipi di narrazioni) è un tipo di studio che da solo può rivelarsi <<noioso>>, troppo schematico e che, attingendo dal vocabolario foucaultiano, usa una chiave interpretativa <<archeologica>>, una chiave interpretativa che deve essere integrata. L’approccio che il docente auspica (se ho ben capito le sue parole e quelle di Foucault) è quello <<genealogico>>: più che osservare i diversi temi declinati nelle varie letterature, sarebbe forse maggiormente utile e stimolante osservare come quei temi vengono “costruiti”, come si affermano, come si intrecciano “rizomaticamente” nel pensiero collettivo. La prospettiva dovrebbe comprendere uno sforzo di comprensione olistica, riassumibile nella nozione della già citata Haraway di Chthulucene, l’era (successiva al Capitalocene) delle connessioni sotterranee e talmente fitte da essere praticamente incomprensibili nel loro insieme, come le ife che costituiscono i miceli dei funghi, formazioni rizomorfe che possono estendersi anche per chilometri.

E dunque il cyberpunk, genere narrativo che racconta degli strumenti del “futuro” perlopiù in chiave distopica e finalizzato alla critica delle derive tecnologiche, come si colloca nel rizoma del pensiero collettivo, quando inizia? Quando il termine viene usato per la prima volta nel 1980 da Bruce Bethke? Forse con 1984 di Orwell o con Il mondo nuovo di Huxley? Con  le Storie Naturali di Primo Levi dove abbiamo il Versificatore e il Trattamento di quiescenza che preconizzano rispettivamente strumenti come Chat Gpt e la realtà aumentata? O forse addirittura inizia nell’800 con i cyborg ante-litteram rappresentati da Pinocchio e dal moderno Prometeo Frankenstein? O magari ancora prima, quando nel medioevo compare la figura del Golem (e che a sua volta è influenzato dalla creazione di Adamo ed Eva)?

La dimensione del futuro, spiega Episcopo, è stata per gran parte della nostra storia inesistente: inizialmente la visione del tempo era legata ai cicli della natura e dunque circolare, oltre che prevedibile (come faceva comodo all’epoca dell’Ancien Regime). Il millenarismo cristiano preannunciava un “regno che non avrà fine” e quindi incluso in un asse temporale dove l’attesa è già determinata e <<in cui si integravano chiesa, impero e storia del mondo>>. 

Il futuro comincia quindi a essere creato a partire dalla scoperta dell’America: il mondo non è piatto e bisogna <<fare spazio a qualcosa di nuovo>>. Tommaso Moro nell’Utopia <<decostruisce la realtà del 1516, dopo aver descritto i problemi della parte di Mondo in cui viveva, l’Inghilterra di Enrico VIII>>, e immagina una futura forma di civilizzazione in cui, tra le varie cose, la proprietà privata era abolita. Dal 1517, l’anno della riforma protestante, fino al 1789, quando scoppia la rivoluzione francese, l’attesa predeterminata millenarista viene sostituita dalla presenza del futuro, e quindi nasce anche la “storia” nel senso moderno, storia che prima corrispondeva invece <<a una serie di esempi da seguire>>. Poi nascerà anche la filosofia della storia: <<per Hegel sarà una storia di idee, per Marx ed Engels una storia di rapporti di classe>>.

Invece con Foucault viene presentato un problema di analisi storica che nasce dal contesto da cui questa viene mossa, e (come spiegato in “Le parole e le cose”) è problematico analizzare l’“episteme” moderno dato che ci siamo dentro. Per questa analisi ci possono venire in aiuto gli <<oggetti culturali che non sono solo dei “sintomi”, ma servono per decostruire>>, e quindi per analizzare dei fenomeni sganciandoli dagli stereotipi, da ciò che si dà per assodato e predeterminato, da ciò che è legato a una determinata epoca e/o cultura, e lanciandosi in ragionamenti più complessi ed estesi lungo piani interpretativi plurali.

Alla domanda “quando nasce il cyborg”, uno degli ultimi “prodotti” dell’immaginario,  o “quando nasce il cyberpunk” non bisognerà dunque rispondere:  “con Pinocchio oppure con Huxley”... ma bisognerà piuttosto osservare come ci si è arrivati, e non è assolutamente detto che si fornirà una risposta definitiva andando “archeologicamente” all’indietro e tracciando un ipotetico (o forse impossibile) inizio di quel topos.

A proposito dell’incessante andare all’indietro risalendo il corso degli schemi narrativi, si parla della possibilità di immaginare qualcosa che sia “veramente” nuovo, qualcosa che non sia stato già sostanzialmente concepito (anche se in forma diversa o da un’altra prospettiva), qualcosa che si sapeva già, che era stato già “usato” ma di cui ci si era dimenticati, finendo in un oblio temporaneo.

A questo proposito si parla dell’overloading informativo e si menziona il testo di Alvin TofflerLo chock del futuro”: accadono talmente tante cose insieme che non possono essere compiutamente rielaborate sul piano dell’immaginario. Le prime 600 generazioni di umani, all’incirca, avevano a disposizione solo la scrittura, le successive 7 hanno vissuto con i cambiamenti dell’energia elettrica e della scrittura telematica, l’ultima (la nostra) è completamente immersa in una dimensione prevalentemente digitale, una dimensione che incide fortemente su capacità come quelle di memorizzare, mantenere la concentrazione e leggere.





Queste dinamiche dell’immaginario, che è anche una critica dell’esistente, possono contribuire a farci pensare che tutto quello che facciamo è stato già fatto anche da altri, facendoci virare verso l’annullamento e un’abolizione apocalittica del soggetto e spingendoci nell’abisso del relativismo totale, del nichilismo e della post-verità estrema che nega la stessa esistenza del Mondo: per questo serve una <<filologia dell’immaginario collettivo>>, la definisce così De Cristofaro, con un’espressione affine al titolo del libro della De Feo (ossia l’ermeneutica del cyberspazio) ma che include l’intero ambito del pensiero collettivo (spero di aver compreso bene questa parte conclusiva del dibattito, o almeno in parte).

 

 

LA RASSEGNA STAMPA NON RICHIESTA DI “LE RECENSIONI NON RICHIESTE”



È stato davvero bello assistere allo spettacolo de “Le recensioni non richieste” e conoscerne il sito! Più che una stand up comedy lo definirei un monologo (in fondo in fondo lo sono tutte le stand up comedy, dato che solitamente il coinvolgimento del pubblico è minimo) in cui satira e informazione sono sapientemente fuse. In circa un’ora sono stati toccati tanti temi di cui, come la maggioranza di attivist# e militant#, ci siamo occupati nell’ultimo anno: la nuova invasione turca in Rojava, il tetto al contante, la detenzione al 41bis di Cospito, l’assoluzione di Berlusconi al Ruby Ter, le proteste in Iran e l’intersezione con la battaglia curda e il femminismo, la strage di Cutro e le migrazioni… 




Ma anche altre notizie che non conoscevamo proprio, come l’apparizione di Cristina d’Avena sul palco di Fratelli d’Italia. <<Un po’ se ride un po no>> fa notare l’attor@: il pubblico è un po’ “gelido”, ma è normale quando la tragicomicità scatena sentimenti contrastanti...




 

 

IL NEUROCINEMA





Il Neurocinema è un’installazione di arte neuro-interattiva: fonde delle storie “mixate” da un algoritmo che incrocia circa 30 differenti cortometraggi in sequenze differenti e con effetti diversi a seconda delle onde celebrali emanate da un unico spettatore per volta, rilevate da un apparecchietto di facile reperibilità. 









Lì incontro Gennaro (lui è l'informatico del duo, l'aspetto cinematografico è invece curato da Dino): non ho tempo di “sottopormi” allo spettacolo, e gli dico scherzosamente che sono un complottista “Tin Hat” (ossia quelle persone che, credendo i propri pensieri intercettabili da oscure entità governative, si mettono una pellicola di alluminio attorno alla testa per “schermarla”). Lui mi assicura, seriamente, che i dati non vengono raccolti e chiarisce che il codice è open source: LOL!


 

POSTUMANA-COLLETTIVA




Al banchetto di Postumana c’è Cecilia: mi spiega che le immagini che vedo sugli adesivi e perfino lo scritto poetico all’interno della zina “Latenza” sono realizzati da un’intelligenza artificiale. 





Ci sono anche una shopper e gli adesivi della Collettiva Transfemminista Compost, che ha sede presso la Casa del Popolo Cohiba, a Nocera inferiore. 




Durante la sua talk emerge nuovamente il tema del “riciclo” di miti e narrazioni del passato.

 


LABORATORIO 47




Il Lab 47 è un progetto partito all’interno del Csoa Askatasuna su iniziative di alcune studentesse dell’Accademia Albertina: intravedo due zine che parlano, rispettivamente, del caso Cospito e del caso giudiziario che ha recentemente coinvolto il centro sociale torinese. Incontro Marta con cui intrattengo una lunga e fruttuosa discussione su riduzionismo e abolizionismo carcerario, mentre in sottofondo la musica assordante e gioiosa del dj-set finale pompa dalla casse.


 

RUN & ‘NGANN




Sul loro stand presentano il numero 0 di una rivista-contenitore di <<storie brevi con l’obiettivo di far divertire ma anche riflettere su alcune tematiche>>: con il mio ristretto budget riesco a portarmela a casa! Nella prima storia, in cui si trova la versione satirica di un Salvini fuso con Doraemon, c’è anche un arguto riferimento al decreto ONG. Dopo una storia “dilandogghiana”, l’ultimo fumetto racconta l’epilogo della vicenda umana e giudiziaria di Sacco e Vanzetti.




 

BEAX98




Al banchetto di Beatrice Varriale insieme a dei collage che stimolano l’intelletto e la voglia di impegno sociale, ritroviamo il tema della “blasfemia”, anche se questa volta in maniera più canonica, ossia relativa alla fede cristiana che pervade l’ambito di chi vive in questo pezzo di pianeta, e non rivolto al femminismo marxista di cui si è dibattuto nella presentazione del Manifesto Cyborg. Mi colpiscono molto anche i collage dedicati alla causa palestinese.







 NUOVA EDITORIA ORGANIZZATA




Sono una realtà composta da quattro giovani fumettisti e autori che <<si propone come un’alternativa libera all’editoria tradizionale italiana. La nostra volontà è quella di creare uno spazio per artisti e autori dove questi non siano influenzati da dinamiche e tempi editoriali, dove si possa raccontare tutto ciò che deriva da un bisogno espressivo senza essere censurati, veicolati o ingabbiati>>.




Al festival propongono un’articolata presentazione sul tema della Rivoluzione nella storia del fumetto, focalizzandosi sul mercato italiano (partendo cronologicamente dal “Corriere dei Piccoli”), francese (un mercato abbastanza progressista e difficile, <<dove c’è una sorta di barriera>>) e statunitense (partendo dall’esempio di Superman, sostanzialmente <<una riproposizione di Gesù Cristo>>, dice Salvatore Vivenzio).

Si giunge poi al fumetto punk e agli autori alternativi, come Andrea Pazienza su Frigidaire (vi invitiamo a vedere questo video che abbiamo girato alla Crack!ademia sull’argomento), che irrompono sulla scena fumettistica nostrana con temi forti a base anche di sesso, droga e violenza, tentando di infrangere la rigida morale imposta dalla società perbenista italiana, abituata a narrazioni più anacronistiche e “rassicuranti” come quella del ranger Tex o dell’investigatore dell’incubo Dylan Dog.





NEA si pone in linea con quella tradizione “di rottura”, tradizione che è uscita dall’ambito della controcultura e che è entrata anche nelle librerie “canoniche”, come dimostrano le opere di Pazienza. A questo proposito si potrebbe parlare (e ne parliamo più nel dettaglio nel saggio-manifesto programmatico di questa zine/rivista generalista) del confine, a volte labile o comunque non netto, tra autonomous publishing e self-publishing, ossia tra gli estremi di chi si auto-produce in aperta rottura a meccaniche capitaliste e a certe visioni politiche/morali e chi, invece, si auto-produce per entrare a tutti gli effetti nel mercato “ordinario”, tentando arrivisticamente di “sfondare”.





I loro fumetti sono disponibili gratuitamente sul loro sito.


 

INTERIORS






Interiors è un collettivo che nasce sulla spinta del “Crack!” nel 2015 per poi uscire nel 2017 con il primo numero dell’omonima fanzine nel 2017: al suo interno non si trovano, come ci si potrebbe aspettare, foto di arredi e interni di abitazioni, ma piuttosto “l’architettura” interiore dei diversi artisti che collaborano al progetto con fumetti e illustrazioni. 

I temi trattati spaziano dal rapporto tra sesso e cibo fino ad arrivare agli hikikomori (termine giapponese che indica chi si rifugia nella propria solitudine, ritirandosi dalla vita sociale), e passando per la cosiddetta maturità. Cogliamo l’occasione per segnalarvi il maxi-post che abbiamo dedicato al Crack! VUDU del 2022.





 

MANICOMIO




Ai banchetti di Manicomio incontro p.o.ntidivista che mi regala una zine-poster sugli aspetti profondi e sulla storia del movimento rave (forse è meglio dire dei “free party”), condensata con considerazioni sul <<potere taumaturgico e guaritore della T.A.Z.>> (Zone temporaneamente autonome, concetto elaborato da Hakim Bey), sull’industria culturale gerarchizzante, sulla festa, sulla cura collettiva e sulla <<disumanizzazione giornalistica del raver>> che <<mostra quanta violenza si nasconde nella falsa tolleranza generalizzata del diverso>>.

 

 

BENEDETTA COLANTONI





Benedetta ha presentato in maniera tanto breve quanto efficace la sua “zina” sulla morte, il primo lavoro con cui debutta a un festival di autoproduzioni: “Breve storie di morte” racconta della fine di 14 esistenze con altrettante emozioni preponderanti. <<Mia nonna mi diceva sempre che non riuscivo a concentrarmi su dei concetti>> specifici, per questo si è sottoposta a un esercizio intellettuale focalizzandosi su quelle 14 emozioni diverse legate ai rispettivi finali di vita.




Il tema della dipartita viene <<spiattellato in faccia>> senza fronzoli e rifuggendo una narrazione struggente. <<Mi serviva qualcosa per uscire subito da presentare ai festival>>, spiega con schiettezza sottolineando la natura autobiografica del lavoro (denotata dal colore rosso nel racconto) e una spinta infantile per niente casuale, dato che ha pensato pure di realizzare storie per i più piccoli.

 


BLACKITSU







Sul banchetto di Chiara, in arte Blackitsu, la battaglia femminista e i corpi femminili dominano. Vengo colpito da un adesivo con la scritta “Mansplaining”: mi spiega che è un termine usato per gli uomini che pretendono di spiegare alle donne cosa sia giusto o meno.


 

CHEKPOINT CHARLY




Allo stand del Laboratorio Artistico Condiviso Chekpoint Charly  bolognese incontro Lara: mi colpiscono le zine sulla “Transfobia spiegata agli scemi” che la percepiscono come un qualcosa di “brutto brutto” (meccanismo alla base delle discriminazioni in generale), quella sulle “Azioni Travestite di Strada Rivoluzionaria” e quella alla piante allucinogene con un simpatico felino, il “Drogatto”.

 


ESSEMME




Sui tavoli di EsseEmme, collettivo artistico di Campobasso, ritroviamo il mitico manualetto “Autoproduzioni For Dummies” (che citiamo nel “manifesto” di Fanrivista e che avevamo scoperto allo UE') e un poster-guida alla resistenza di piazza della Critica Università della Strada che mi viene gentilmente donato.




 


INFINITE LANDS





Dal banchetto di Alberto, in arte Infinitelands, viaggio in altri mondi: il mio budget è quasi finito, ma posso apprezzare i suoi fumetti gratis online e tuffarmi nelle sue terre infinite!





GIANNI GENTILE




Non c’è molta possibilità di parlare con Gianni, in arte (o forse “in social”) InnaiGentile, dato che il suo banchetto si trova sotto la cassa con la musica a palla (che è comunque un degno accompagnamento del tour finale tra i banchetti): tra le svariate citazioni artistiche e politiche mi colpisce una cartolina con Putin, che mi fa linkare la mente allo pseudo-editoriale/inchiesta sul vecchio-nuovo governo e sul putinismo post-fascista rossobruno… 




 

A'NZERTA




Al banchetto di A’nzerta, <<un intreccio di persone che intendono mettere in comunicazione i territori del Matese ed i loro abitanti per generare e far scorrere creatività>> osservo con piacere i primi quattro numeri della “Fanzerta” (che si trovano anche online) e mi fanno scegliere una poesia-adesivo bellissima: è di Alessandro Tavano e paragona le rose alle <<fotocamere di sorveglianza di Dio>>.






 

GENNARO RADON




Dall'album di Gennaro Radon spuntano diverse illustrazioni, e mi colpiscono principalmente affascinanti e paurose creature marine, che impreziosiscono anche le copertine di diversi libri: <<se ci pensi siamo fatti per più del 75% di acqua>>, mi ricorda giustamente l’autore, facendomi venire in mente una serie di discorsi sull’antispecismo che abbiamo affrontato in questo post sul veganesimo.

 


ROSE ROMANO




È un piacere re-incontrarla, e questa volta può anche autografare due stampe che con il mio modesto budget posso includere nello “swag-bottino” dalla Santafeira: alcune delle sue illustrazioni abbelliscono la mia stanza (nonché sede della Pseudo-Redazione di questa fanza) dal primo festival di autoproduzioni a cui sono stato in vita mia, lo UE’ del 2021.





 



YELLETRES

Il banchetto dello studio creativo Yelletres ha avuto un impatto particolare sul mio sguardo: peccato che non sono riuscito a parlare con loro e a trovarli online, sarà per la prossima…




 

LA PRESENTAZIONE CHE ABBIAMO PERSO

Infine mi sono perso la presentazione (è una vita precaria, 1000 cose da fare!) del libro noir ambientato a Napoli, “I santi d’argento” di Giancarlo Piacci edito da Salani. Abbiamo comunque rimediato online una sua intervista sul canale Iùtiub Rubrica Luce Verde, oltre a svariate recensioni molto positive (inclusa una di Zerocalcare che ha disegnato la copertina): nel testo si affronta anche il tema della salute mentale, a sua volta legato alla marginalizzazione e all’abbandono della collettività (tema a noi particolarmente caro che, a sua volta, è legato a uso e abuso di droghe legali e illegali, e che abbiamo affrontato nel resoconto basato sulle fonti aperte che hanno trattato dei morti in carcere durante le rivolte “pandemiche”).

 

 

LA LOCATION

L’Asilo (L’ex Asilo Filangieri) è un bene comune napoletano animato principalmente da lavoratrici e lavoratori dell’arte, dello spettacolo, student#, ricercatori e ricercatrici, e organizzato con pratiche di <<gestione condivisa e partecipata>> ispirate agli usi civici e finalizzata principalmente alla produzione culturale dal basso (ci sono diversi laboratori, sale per proiezioni e dibattiti, un teatro e anche una biblioteca popolare). 








Lo spazio, situato nel cuore del centro storico partenopeo assediato da una turistificazione selvaggia che forse ha solo attenuato una serie di problemi sociali, legati anche al “precariato criminale” e a crimini predatori o vandalici (recentemente l’entrata è stata sfregiata con un svastica), ha trovato nuova linfa vitale quando nel 2012 è stato <<occupato e rianimato con spettacoli, concerti, presentazioni di libri, assemblee e seminari, mentre prima era un’enorme spazio vuoto e privo d’identità, sede dell’ennesima Fondazione soggetto all’esclusivo arbitrio del potere politico-partitico>> .


La rubrica di questa Zina/Rivista “Valvola” si è liberamente ispirata al nome delle “svalvolate” teatrali organizzate all’Asilo



 

Francesco Tardio mentre legge "Nuovi ricordi", atto conclusivo del “Fest” insieme alla festosa musica del dj set finale: mentre qualcuno si ferma a ballare e gli allestimenti vengono smontati emerge una vaga malinconia… Ma non è finita perché insieme alla nostra voglia di cambiamento e di gioia continuano ogni giorno tante iniziative negli spazi sociali e liberati… THE END?! NO, CONTINUA!

Si conclude questo strampalato (ma onesto!) reportage dalla Feira: ho cercato di trasmettere al meglio ciò che ho percepito tramite i sensi e tramite l’anima, e dopo queste “percezioni”, dopo i momenti di svago e riflessione ho acquisito nuova forza per affrontare le battaglie, le attività e le sfide finalizzate a concepire un mondo diverso, migliore, più equo!

GRAZIE DI ESSERE ARRIVAT# FIN QUI, GRAZIE A TUTT# E ALLA FEIRA, LOVE!

 Cronista Autoprodotto



 ultima modifica 24/3/ore14:56

2 commenti:

  1. Ottimo resoconto di due giorni bellissimi. La prossima volta che ci incrociamo fatti riconoscere e facciamo quattro chiacchiere. Grazie

    RispondiElimina
  2. Cronista Autoprodotto25 marzo 2023 alle ore 11:15

    Grazie dell'attenzione e grazie a tutt@ la feira! è un piacere/dovere intrattenere relazioni con persone con cui ci sono affinità! A presto : )

    RispondiElimina